Rossella Brosio*
nota a Cass. Pen., Sez. 2, 12 Febbraio 2021(dep. 26 Aprile 2020), n.15584, Pres. Gallo Domenico, Relatore. Pacilli Giuseppina Rosaria.
IL FATTO
Con sentenza del 24 ottobre 2019, la Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza emessa dal tribunale di Biella, con cui i ricorrenti venivano condannati per il delitto di rapina impropria e B.D. anche quello di lesioni personali.
Nel caso di specie, gli imputati avevano sottratto due trapani all’interno di un esercizio commerciale ed, al fine di assicurarsi la fuga ed il possesso dei beni, avevano usato violenza nei confronti degli addetti alla vigilanza.
Avverso la sentenza emessa dal giudice di prime cure, e confermata in appello, i difensori dei ricorrenti proponevano ricorso in Cassazione.
Il difensore di B.D. deduceva ed eccepiva la mancata motivazione sull’omessa considerazione della confessione, resa dall’imputato, ai fini della concessione delle attenuanti generiche. Parimenti, il difensore di F.M. eccepiva:
- I vizi della motivazione in merito alla qualificazione del fatto come rapina consumata anziché tentata.
- La mancata concessione delle attenuanti generiche; la Corte di Appello avrebbe errato nel non ritenere che già in sede di interrogatorio di garanzia l’imputato avrebbe reso confessione ed ,altresì, avrebbe dimostrato il proprio ravvedimento attraverso un’offerta reale di risarcimento del danno.
- I vizi della motivazione in ordine alla mancata concessione dell’attenuante specifica di cui all’art. 62, n. 4., c.p.
- Contraddittorietà della motivazione con riguardo all’eccessività della pena.
- Vizi della motivazione per non aver irrogato il minimo della pena e concesso il beneficio della sospensione condizionale.
- Omessa motivazione, con riguardo ai motivi di gravame, quale quello inerente la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Sulla scorta di tali assunti, la Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione, investita dei ricorsi, li ha dichiarati inammissibili, ritenendo immune da censure la condanna emessa in primo grado per rapina impropria consumata.
1. QUESTIONI DI DIRITTO
In via preliminare, la questione di diritto sulla quale la Suprema Corte si è pronunciata era se “ai fini della consumazione del delitto di rapina impropria è necessario che il soggetto agente abbia conseguito il possesso della cosa mobile altrui o è sufficiente che ne abbia semplicemente compiuto la sottrazione e, in particolare, se assume rilievo il controllo del personale di vigilanza” [1]
In secondo luogo, il massimo organo della nomofilachia, ha deciso in merito alla concessione delle attenuanti generiche, dell’attenuante specifica ex art. 62, n.4,c.p. ed anche in relazione alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
2. LA FATTISPECIE DELLA RAPINA: TRA DOTTRINA E GIURISPRUDENZA
Il delitto di rapina configura un reato plurioffensivo, tutelando l’interesse patrimoniale e la libertà personale della vittima[2], attraverso un doppio contenuto precettivo, diretto ad impedire l’altrui impoverimento e l’arricchimento del reo attraverso l’uso dei mezzi violenti[3].
La collazione sistematica ne disvela l’originaria matrice patrimonialistica[4].
In verità, sulla corretta qualificazione del delitto de qua, si riscontrano diversi orientamenti dottrinali; secondo la prima teoria, se pur minoritaria, il delitto di rapina configura un reato complesso che riunisce in un’autonoma fattispecie due differenti ipotesi criminose, quali il furto (art. 624 c.p.) e il reato contro la persona ,corrispondente alla forma di violenza in concreto esercitata ,quali il delitto di percosse ( art. 581 c.p.) o di minaccia (art. 612 c.p.)[5]. Di contro, altra parte della dottrina ritiene che si configuri un reato complesso in senso stretto, risultante dalla combinazione del delitto di furto ( art. 624 c.p.) e di quello di violenza privata ( art. 610 c.p.)[6].
La tesi intermedia e prevalente,concepisce il delitto di cui all’art 628 c.p., come un reato eventualmente complesso, richiedendo accanto al furto una qualsiasi manifestazione violenta, volta al perseguimento degli scopi previsti.7
Venendo agli elementi strutturali della fattispecie, giova premettere che il fatto costitutivo del delitto in questione consta in una condotta violenta, posta in essere dal soggetto agente, finalizzata all’impossessamento di quanto sottratto, ovvero ad ottenere l’impunità, in modo da impedire alle persone offese di intervenire, costringendole a fuggire o comunque coartando la loro volontà e la libertà di movimento con comportamenti minacciosi o aggressivi. Il momento consumativo del delitto che ci occupa , si verifica allorchè la cosa entri nella sfera di disponibilità dell’agente; il legislatore, infatti, ha voluto attribuire rilevanza al solo criterio della sottrazione della res, né a quello spaziale né a quello temporale. L’art 628 cod. pen.,tuttavia, prevede due distinte figure di reato: la rapina propria, prevista e punita dal comma 1, art 628, c.p., e la rapina impropria , prevista e punita dal comma 2 del medesimo disposto normativo.
Le due forme di manifestazione del reato, pur presentando i medesimi elementi oggettivi, differiscono per la fase dell’iter criminis in cui viene esercitata la violenza o la minaccia per la differente direzione della stessa.
La Suprema Corte, in merito al concetto di violenza, ha avuto modo di precisare che esso non va inteso soltanto nel senso ristretto di esplicazione di un’energia fisica direttamente sulla persona del derubato, ma qualsiasi atto o fatto posto in essere dal soggetto agente che si risolva, in ogni caso, nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualche cosa[7].
La violenza costitutiva del delitto di rapina può essere esercitata anche nei confronti di persona diversa dal detentore della cosa, purché tra detta violenza e l’impossessamento sussiste un nesso eziologico tale da assumere carattere strumentale, sicché l’impossessamento sia diretta derivazione della violenza stessa.
Altresì, l’elemento oggettivo della minaccia può essere integrato da qualsiasi atteggiamento o comportamento, perentorio e univoco, posto nei riguardi del soggetto passivo, che risulti idoneo ad incutere timore e suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto.
Tuttavia , l’impossessamento della cosa altrui, mediante sottrazione , deve, necessariamente ,discendere dalle suddette modalità di condotta.
Venendo più nello specifico alla fattispecie in esame, occorre specificare che la condotta che inerisce il comma secondo dell’art. 628, c.p., consiste nella sottrazione di un bene e nell’uso di violenza diretta alla persona, senza che rilevi l’eventuale mancata contestualità temporale tra la sottrazione della res e la violenza o la minaccia,essendo sufficiente che tra le due azioni intercorra un lasso di tempo idoneo a realizzare il requisito della quasi flagranza e tale da non interrompere il nesso causale dell’azione tesa, da un lato, ad impedire al derubato di rientrare in possesso della refurtiva e,dall’altro, ad assicurare l’impunità del soggetto agente.
Sotto il profilo dell’elemento psicologico , la rapina impropria richiede(così come nel caso previsto dal primo comma, art. 628,c.p.),da parte dell’autore, la coscienza e la volontà di impossessarsi della cosa mobile altrui, attraverso l’uso della violenza o minaccia, ma occorre , altresì, il dolo specifico , rappresentato dal fine di trarre , per sé o per altri, un ingiusto profitto, unitamente, però, alla consapevolezza dell’agente di usare la violenza o la minaccia per consolidare un potere di fatto sulla cosa, ovvero per sottrarsi alle conseguenze processuali o penali del commesso delitto[8].
3. CONSUMAZIONE E TENTATIVO NEL DELITTO DI RAPINA IMPROPRIA
La rapina impropria si consuma nel momento e nel luogo in cui , terminata l’azione di sottrazione , si esercita la violenza o la minaccia per uno degli scopi indicati dall’art. 628, comma 2, c.p.[9]
La Corte di Cassazione, con la sent. n. 15584, del 2021, è ritornata sul punto ed ha, ulteriormente, specificato che “ la rapina impropria si consuma con la sottrazione del bene”[10].
Pertanto, occorre premettere che ai fini della configurazione della rapina impropria consumata è sufficiente che il soggetto agente, dopo aver compiuto la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare ,a sé o ad altri, il possesso della res
, mentre non è necessario che ne consegua l’impossessamento, non costituendo, quest’ultimo, l’evento del reato.
Infatti, a differenza della rapina propria per la cui consumazione è necessaria la
verificazione dell’impossessamento, per la configurazione della rapina impropria è ,invece ,sufficiente il solo perfezionamento della sottrazione.[11]
L’argomentazione logico-giuridica che ha condotto il Supremo Consesso all’elaborazione di tale principio di diritto, non può prescindere dalla dettagliata analisi del contrasto giurisprudenziale che si è risolto nell’anno 2012.
In particolare, le Sezione Unite sono state chiamate a dirimere una questione avente ad oggetto la condotta di chi, dopo aver compiuto atti diretti all’impossessamento della cosa altrui, non portati a compimento per fatti indipendenti per la sua volontà, adoperi violenza o minaccia nei confronti di quanti cerchino di ostacolarlo.
A tal proposito, si ravvisano due diversi orientamenti giurisprudenziali;
Secondo un primo orientamento “in tema di rapina impropria, postulando l’articolo 628 comma secondo, cod. pen., che la violenza o la minaccia siano adoperate immediatamente dopo la sottrazione ed al fine di conseguire, proprio mediante il loro impiego, il possesso della cosa sottratta, ovvero l’impunità, deve ritenersi che non sia configurabile il tentativo di rapina impropria, ma sussistono invece il reato di tentato furto e quello di minaccia, lesioni, percosse cui la condotta violenta vi ha dato luogo, qualora tale condotta sia posta
in essere senza che la sottrazione sia stata preventivamente realizzata.” [12] Tale impostazione si basa sul dato letterale della norma ed in particolare sulla considerazione che il capoverso dell’art. 628, c.p., impone che la sottrazione della cosa preceda l’esplicazione dell’uso della violenza o della minaccia , sicché l’agente, qualora ponga in essere la condotta aggressiva al solo fine di fuggire o procurarsi, altrimenti, l’impunità, risponde non di tentata rapina, ma di tentato furto,eventualmente in concorso con altro reato , avente come elemento costitutivo la violenza o la minaccia.
In virtù di un secondo orientamento giurisprudenziale, “il delitto di rapina impropria si configura come fattispecie autonoma rispetto al modello descritto nell’art. 628 ,comma primo, pur se nesso mantiene, attraverso la relatio al tipo ivi indicato, l’intera gamma degli elementi che valgono a qualificare ed integrare lo schema astratto delineato dal legislatore. Ciò significa che l’impossessamento, il fine di profitto, la violenza e la minaccia, caratterizzano entrambe le figure, variando solo la consecutio finalistica che deve legare le due condotte prese in considerazione dalla norma come elementi che indefettibilmente devono concorrere per integrare la fattispecie: l’impossessamento, da un lato, e la violenza o la minaccia, dall’altro.
La violenza successiva all’impossessamento non sta dunque a rappresentare un concetto di esaurimento “consumativo” del primo momento in cui si articola la condotta criminosa, ma intende esclusivamente sottolineare il profilo cronologico e funzionale che colloca quella condotta come un prius rispetto all’altra.
Ammessa, dunque, concettualmente, l’ipotizzabilità del tentativo con riferimento alla fase dell’impossessamento, ne deriva che la successiva violenza esercitata per procurarsi l’impunità, non resti avulsa dal modello legale prefigurato nell’art. 628, comma 2, ma adesso si coniughi, dando così vita alla figura tentata.”[13]
Il delitto di rapina, infatti, sia nella forma propria che in quella impropria, costituisce un tipico delitto di evento, suscettibile, come tale ,di arretrarsi allo stadio del tentativo, qualora la sottrazione non si verifichi.
Altra argomentazione, la quale milita a sostegno della tesi sopra indicata, configura il delitto in questione come fattispecie criminosa complessa ed afferma che i reati componenti la figura in esame (sottrazione e violenza o minaccia) possono, autonomamente, presentarsi allo stadio del tentativo.
Infatti, nel caso in cui un tentativo di furto sfoci nel reato di violenza o minaccia, finalizzate all’impunità, non può dividersi l’azione in due tronconi, l’uno configurante un delitto consumato contro la persona e l’altro un delitto tentato contro il patrimonio, tanto più quando ci si trovi davanti ad un reato complesso come la rapina.
È, pertanto, necessario pervenire ad una valutazione organica, la quale non può non condurre ad affermare che è stata messa in atto una rapina impropria rientrante nella soglia del tentativo.
La Suprema Corte di Cassazione, pronunciandosi a Sezioni Unite, con sent. n. 34952, anno 2012, ha aderito a tale ultimo orientamento giurisprudenziale ed in quella circostanza ha avuto modo di osservare che poiché il comma 2, dell’art. 628, fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all’impossessamento della cosa mobile altrui, deve ritenersi che il delitto di rapina impropria si perfeziona anche se il reo usi violenza o minaccia dopo la mera apprensione della res, senza il conseguimento della sua disponibilità.
È, invece, configurabile il tentativo nel caso in cui l’agente, pur dopo aver posto in essere atti diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa, non portati a compimento per circostanze indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità.
In particolare, nella rapina impropria, l’impossessamento non costituisce elemento materiale della condotta incriminata, bensì l’oggetto del dolo specifico.
Ne deriva che la sottrazione, quale componente materiale del reato di rapina, assume un ruolo centrale sotto un duplice profilo:
- In primo luogo, il momento temporale in cui essa si perfeziona, rispetto alla violenza o la minaccia, segna il discrimine tra la rapina propria e impropria; infatti, nella fattispecie di cui all’art. 628, comma 1, c.p., la violenza o la minaccia costituiscono le modalità attuative attraverso cui la sottrazione viene posta.
Di converso, nella rapina impropria, la sottrazione deve avvenire -come nel furto- senza violenza o minaccia e, perciò, deve precedere le condotte violente o minacciose, le quali sono poste dall’agente non la fine di sottrarre la cosa mobile altrui, ma allo scopo di assicurare, a sé o ad altri, il possesso della cosa.
- In secondo luogo, la sottrazione costituisce elemento determinate ai fini della distinzione tra rapina impropria consumata e tentata: infatti, essendo l’impossessamento un elemento facente parte del dolo specifico della rapina impropria e non l’evento del reato
, se vi è stata la sottrazione della cosa mobile altrui – ossia lo spossessamento- l’impiego della violenza o della minaccia da parte del reo, al fine di conseguire il possesso della cosa mobile altrui, costituisce rapina impropria consumata e non tentata , indipendentemente dalla verificazione in concreto anche dell’impossessamento. Di tal guisa, il reato di rapina impropria si consuma nel preciso momento in cui la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui si è verificata la sottrazione e pur se, subito dopo, il reo sia costretto ad abbandonare la cosa sottratta per l’intervento dell’avente diritto o della forza pubblica[14].
Giova, infatti, precisare che le circostanze di sorveglianza e controllo, impediscono l’impossessamento, ma non anche la sottrazione del bene.
4. I CRITERI DA UTILIZZARE PER STATUIRE IN MERITO ALLA CONCESSIONE DELLE ATTENUANTI GENERICHE
Per quanto riguarda i criteri che il giudice può utilizzare per decidere se applicare o meno le circostanze attenuanti generiche,vi sono, sicuramente, quelli di cui all’art. 133,c.p.
Si ritiene, tuttavia, che in base al principio del ne bis in idem sostanziale, il giudice non potrà tener conto dello stesso elemento prima per stabilire la pena base e poi come circostanza: ciò significa che nel determinare la pena base il giudice non potrà prendere in considerazione elementi che intende considerare ai fini della concessione delle generiche.
Questa conclusione non è del tutto pacifica, la Cassazione, in alcuni casi, ha affermato che tale regola non si applica alle attenuanti generiche, le quali sono un mezzo liberamente valutato dal giudice per meglio adeguare la pena al caso concreto[15]
Proprio in relazione di un tale potere discrezionale, il giudice, nel valutare, deve esaminare tutte le circostanze rilevanti del caso specifico, precisando quali siano gli elementi decisivi che lo hanno condotto al riconoscimento dell’art. 62 bis, c.p.
Pertanto, ai fini della concessione o del diniego delle dette circostanze, può essere sufficiente che si considerino gli elementi di cui all’art. 133, c.p., atti a consigliare il tipo di valutazione da effettuare: anche un solo elemento che attenga alla personalità del reo, all’entità del reato e alle modalità di esecuzione può essere sufficiente per motivare la concessione o il diniego. Nel caso che ci occupa, la Corte di Cassazione , nel dichiarare il ricorso infondato e privo di specificità, al fine di ritenere o escludere la configurabilità delle attenuanti generiche, ha affermato che: “il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio: anche un solo elemento, attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato o alle modalità di esecuzione di esso, può, pertanto, risultare all’uopo sufficiente”.17 Alla medesima conclusione deve pervenirsi, infine, con riguardo alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, non concedibile non essendo stata , la pena, contenuta nel limite edittale dei due anni.
5. ATTENUANTE SPECIFICA DEL DANNO DI SPECIALE TENUITA’
La circostanza ex art. 62 n.4,c,p,, ha carattere oggettivo ed ai fini della sua applicazione occorre avere riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma a quello complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, valutando non solo i danni patrimoniali, ma anche i danni economici che la persona offesa abbia potuto subire in considerazione, come nel caso di specie, della sottrazione della res.
È, pertanto, necessaria, ai fini della concessione di tale attenuante specifica, una valutazione complessiva della condotta posta.
*avvocato, collaboratrice Unical cattedra di diritto processuale civile
note
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[1] Cass. Pen., Sez. 2, 12 Febbraio 2021, n. 15584
[2] Dolcini, E.- Mariucci, G., art. 628 Rapina, in Codice penale commentato, III,III ed. , Milano, 2011,6177.
[3] Mantovani, F., Rapina, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1991, 1, Pizzuti, G.
[4] Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, parte speciale , II, t. II, delitti contro il patrimonio, Bologna , 2008,
124
[5] Mantovani, F., Rapina, cit, 1
[6] Antolisei, F., Manuale di Diritto penale, parte speciale, I, a cura di C.F. Grosso, Milano, 2008 7 contra Brunelli, D., Rapina, in Dig. Pen.,XI, Torino, 1996, 16
[7] Cfr. Cass. Pen., 11 Ottobre 2012, n. 1176
[8] Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 25 Giugno 1999, n.2410
[9] Antolisei, F., Manuale di Diritto penale, parte speciale , I, cit.,412
[10] Cfr. Cass. Pen., 12 Febbraio 2021, n. 15584
[11] Cfr. Cass. Pen., Sez.2, 22 Febbraio 2017, n.11135
[12] Cfr. Cass. Pen., anno 2007, n. 32551
[13] Cfr. Cass. Pen., anno 2008, n. 20258
[14] Cfr. Cass. Pen., anno 2017, n.14305
[15] Giovagnoli, R., Manuale di diritto penale, parte generale, parte VII,cap. II, Torino, 2009 17 Cfr. Cass. Pen, Sez. II, anno 2011, n. 3609
BIBLIOGRAFIA
- Antolisei, F., Manuale di Diritto penale, parte speciale, I, a cura di C.F. Grosso, Milano, 2008
- Antolisei, F., Manuale di Diritto penale, parte speciale , I, cit.,412
- contra Brunelli, D., Rapina, in Dig. Pen.,XI, Torino, 1996, 16
- Dolcini, E.- Mariucci, G., art. 628 Rapina, in Codice penale commentato, III,III ed. , Milano,
2011,6177.
- Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, parte speciale , II, t. II, delitti contro il patrimonio,
Bologna , 2008, 124
- Giovagnoli, R., Manuale di diritto penale, parte generale, parte VII,cap. II, Torino, 2009
- Mantovani, F., Rapina, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1991, 1, Pizzuti, G. – Mantovani, F., Rapina, cit, 1
GIURISPRUDENZA
- Cass. Pen., Sez. 2, 12 Febbraio 2021, n. 15584
- Cfr. Cass. Pen., 11 Ottobre 2012, n. 1176
- Cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 25 Giugno 1999, n.2410
- Cfr. Cass. Pen., 12 Febbraio 2021, n. 15584
- Cfr. Cass. Pen., Sez.2, 22 Febbraio 2017, n.11135
- Cfr. Cass. Pen., anno 2007, n. 32551
- Cfr. Cass. Pen., anno 2008, n. 20258
- Cfr. Cass. Pen., anno 2017, n.14305
- Cfr. Cass. Pen, Sez. II, anno 2011, n. 3609