Usucapione: prova processuale e presupposti sostanziali dell’azione

90 views 12:13 pm 0 Comments Luglio 29, 2023

(Tribunale Vibo Valentia, Sent., 24/03/2023, n. 112)

La questione della durata del possesso quale presupposto dell’usucapione, rientra nel potere-dovere del giudice di accertare la sussistenza degli elementi costitutivi del diritto fatto valere dall’attore, atteso che l’art. 1158 c.c. pone, tra gli elementi costitutivi dell’usucapione, proprio il protrarsi continuativo del possesso per il previsto periodo ventennale, onde la parte che intenda avvalersene è onerato della prova del decorso di tale periodo, mentre il giudice, a sua volta, deve accertare l’effettivo protrarsi del possesso per il prescritto ventennio in quanto condizione per l’accoglimento della domanda a prescindere dal fatto che la controparte abbia o meno sollevato, al riguardo, eccezione alcuna, con l’ulteriore conseguenza per cui, ove il protrarsi del possesso per il necessario periodo non risulti univocamente accertato all’esito della compiuta istruttoria, il giudice, quand’anche tale carenza non sia stata dedotta dalla controparte (perché ad esempio rimasta contumace) non può esimersi dal rilevare, “ex actis”, il difetto di una condizione di accoglibilità della domanda (cfr. Cass. civ., Sez. II, 18/03/2004, n. 5487).

Ancora, è bene ricordare che “per la sussistenza del possesso utile per usucapire occorre il riscontro di un comportamento continuo e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo prescritto dalla legge, l’esercizio di un potere corrispondente a quello del proprietario; … gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene” (cfr. tra tutte, Cassazione n. 1367/1999; n. 1947872007; n. 4863/2010). Tale onere si aggrava nel caso in cui l’attore sia un comproprietario pro-indiviso, poiché per usucapire il bene comune “deve dimostrare, non solo di averne goduto in via d’esclusività (il che non è incompatibile con la propria posizione di titolare quotista, il quale può fruire anche di tutte le utilità del bene, ove gli altri comproprietari non dissentano e non rivendichino, a loro volta concorrente fruizione), ma di averlo fatto escludendo gli altri comproprietari, cioè apertamente contrastando il loro comune diritto, così da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus” (cfr. Cassazione, n. 17141/2022).

In altri termini, il godimento in via esclusiva della cosa comune da parte di uno dei comproprietari non è di per sé idoneo a far ritenere lo stato di fatto funzionale all’esercizio del possesso ad usucapionem, atteso che tale godimento potrebbe essere la conseguenza di una mera tolleranza o di una mera inerzia da parte degli altri comproprietari. Al contrario, è necessario la manifestazione di un dominio esclusivo sulla res communis da parte dell’interessato, attraverso un’attività durevole, apertamente contrastante ed incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene.

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