Il lavoro da remoto nelle pubbliche amministrazioni

368 views 11:27 am 0 Comments Luglio 28, 2023

Antonio Viscomi*

Le p.a. hanno conosciuto e implementato un “lavoro agile dell’emergenza”; è ora il tempo invece di ragionare su di un “lavoro agile per la ripartenza” ma ciò è possibile fare solo dissolvendo quel taylorismo procedurale che ancora presiede, appesantendola, all’attività delle amministrazioni, sia nei rapporti esterni con i cittadini utenti, sia nella stessa divisione e organizzazione interna del lavoro.

1. Vorrei sottolineare fin da subito che non vi può essere lavoro reso in modalità smart se e quando l’organizzazione non sia, essa stessa, conformata secondo modalità smart. L’evidenza della correlazione tra prestazione e organizzazione è del tutto intuitiva. Oggi però mi pare opportuno ribadirla fin da subito perché proprio essa definisce la cornice che consente di ragionare su questi temi senza cedere alle suggestioni di un dibattito che sembra assumere, a volte, toni quasi referendari, e questo per via di una impropria contrapposizione tra dimensioni diverse – individuale/collettivo, prestazione/organizzazione, diritto/potere, utenti/lavoratori e addirittura passato/futuro – che invocano semmai una più ragionata complementarietà e un più attento bilanciamento, tenendo conto non solo dei diversi livelli di maturità organizzativa e tecnologica che segnano la galassia delle pubbliche amministrazioni, ma anche delle ricadute che le modalità tecniche della prestazione di lavoro hanno sulla stessa organizzazione della vita sociale, sia sul piano individuale che su quello collettivo. 

2. Siamo tutti convinti che sia ormai superato l’approccio emergenziale che ha conformato le condizioni d’uso del cosiddetto smart-working come strumento di contenimento dei rischi pandemici. Tuttavia, per farlo in modo adeguato abbiamo bisogno di un approccio che ci aiuti a integrare l’impatto organizzativo delle innovazioni digitali su almeno tre diversi livelli: 

(a) sui processi di produzione di beni e servizi amministrativi, per superare definitivamente il taylorismo da scrivania che ha accompagnato la parcellizzazione p rocedimentale e cartacea dell’attività amministrativa; 

(b) sui servizi erogati ai cittadini, consapevoli che la capacità di innovazione di una smart city si misura di fatto sulla capacità di erogare servizi digitali amichevoli, animati da approccio human-centered

(c) ed infine, sulle modalità di erogazione della prestazione lavorativa: mi pare vi sia ormai una sostanziale convergenza sul fatto che la nuova normalità lavorativa sarà segnata da modalità ibride sicché anche le regole andranno ridisegnate, almeno per quanto riguarda tempi, spazi e luoghi di erogazione della prestazione dovuta, esercizio delle prerogative manageriali, protezione della salute e della sicurezza sul lavoro, senza dimenticare infine il necessario adattamento delle stesse forme di esercizio dell’attività sindacale che una lunga storia ha fin qui configurato come presenza attiva nel luogo di lavoro. 

3. Le pubbliche amministrazioni hanno conosciuto e implementato un “lavoro agile dell’emergenza”; è ora il tempo invece di ragionare su di un “lavoro agile per la ripartenza” ma ciò è possibile fare solo dissolvendo quel taylorismo procedurale che ancora presiede, appesantendola, all’attività delle amministrazioni, sia nei rapporti esterni con i cittadini utenti, sia nella stessa divisione e organizzazione interna del lavoro. L’innovazione tecnologica consente oggi di far ciò che negli anni passati non è stato possibile portare a compimento. Non si tratta di sostituire un computer alla macchina da scrivere, e neppure la casa con l’ufficio; non siamo di fronte ad una mera trasformazione dei mezzi di produzione; viviamo semmai il tempo del già e non ancora di una transizione – di una grande transizione – che nella sua complessità tecnologica chiede di essere disegnata e ancor più governata in una prospettiva che assicuri comunque l’implementazione dei valori costituzionali che costituiscono le ragioni stesse dell’attività delle pubbliche amministrazioni. 

4. Che sia questa l’esigenza riformatrice fondamentale, senza della quale qualunque intervento rischia di risultare una intenzione lodevole ma dalla dubbia efficacia, è dimostrato dalla storia stratificata delle regole che nel corso degli ultimi venti anni hanno legittimato lo svolgimento della prestazione di lavoro al di fuori dell’ufficio mediante l’utilizzo delle tecnologie disponibili, dal telelavoro disciplinato nel 1999 al lavoro agile del 2017, passando per la legge 124 del 2015, ognuno con una propria disciplina ed ognuno ispirato ad esigenze diverse: riduzione dei costi ambientali e sociali del pendolarismo, conciliazione dei tempi, valorizzazione dell’autonomia professionale, incremento della produttività aziendale. Peraltro, l’incerta riconduzione della risposta emergenziale ad una precisa fattispecie ha trovato riflesso in una sorta di diffusa sinonimia tra lavoro agile, smart working, lavoro da remoto, telelavoro, lavoro da casa, che pure ha determinato, non poche volte, anche fraintendimenti concettuali e distorte valutazioni critiche, alcune delle quali frutto di evidente pregiudizio. 

5. Nonostante ciò, la sperimentazione emergenziale del lavoro da remoto ne ha evidenziato le potenzialità in termini di innovazione di sistema. Abbiamo appreso come il lavoro svolto non in presenza sia in grado di condensare ragionevolmente esigenze tra loro differenti: la valorizzazione e responsabilizzazione delle risorse umane, la razionalizzazione nell’uso delle risorse, la riduzione dei costi ambientali della mobilità, la conciliazione dei tempi, la promozione della trasformazione e lo sviluppo delle conoscenze digitali, la valorizzazione del patrimonio immobiliare e così via. Abbiamo pure appreso come una moderna organizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, incentrata su autonomia, responsabilizzazione, orientamento ai risultati, dovrà comportare un parallelo e radicale cambiamento della cultura, della visione e del ruolo della dirigenza pubblica, in linea con le esperienze più avanzate che si stanno consolidando nelle realtà produttive più dinamiche. 

6. Ma di quel lavoro ne abbiamo anche conosciuto i limiti quando manchi, ad esempio, un adeguato supporto tecnologico capace di assicurare stabilità e sicurezza dei dati e delle informazioni veicolate digitalmente (che certo non possono essere affidate a scelte estemporanee e neppure ad iniziative autonome e domestiche di chi lavora da remoto), o quando sia assente un sufficiente livello di maturità organizzativa che consenta all’amministrazione interessata di mantenere livelli adeguati di produttività e al personale di evitare i rischi di isolamento sociale e professionale che in alcuni casi possono derivare dal lavoro remoto. Per non parlare poi delle aree più marginali, là dove l’isolamento sociale rischia di sommarsi all’isolamento digitale con intuibili conseguenze.  Insomma, è certo vero che lo smart working potrebbe costituire un profondo elemento di innovazione dell’Amministrazione, purché sostenuto da un sistemico mutamento organizzativo e dall’evoluzione tecnologica dei sistemi informativi del settore pubblico. Ma è altrettanto vero che il lavoro agile, nella sua declinazione da remoto, si pone al centro di un complesso sistema di relazioni, organizzative, economiche e sociali, che operano dentro e fuori dal contesto amministrativo e che devono tutte essere ricondotte ad unità armonica nella prospettiva prioritaria del miglioramento quali-quantitativo dei servizi ai cittadini. Basti pensare all’impatto sociale del lavoro da remoto, potendo esso incidere in vario modo sui sistemi economici locali, sia quando si guardi agli esercizi di prossimità dei centri storici delle grandi città sia quando si pensi alla rinascita digitale degli storici borghi dispersi nel territorio. 

7. In questo contesto, appare del tutto evidente il limite di un approccio meramente regolativo, focalizzato sull’assetto tradizionale di diritti e doveri propri del solo contratto di lavoro. Un approccio pure necessario – sia chiaro – soprattutto per stabilire i limiti di una prestazione di lavoro tendenzialmente onnivora per la inusuale sovrapposizione che le nuove tecnologie creano tra spazi e tempi privati e pubblici. Ma appare per converso ancor più evidente l’esigenza di rafforzare una prospettiva orientata all’organizzazione, idonea in quanto tale a riportare il lavoro agile all’interno di una logica di condivisione negoziale tra le parti sociali e a proiettarlo nella prospettiva del miglioramento effettivo dei servizi ai cittadini e del benessere organizzativo dei dipendenti, sulla scia di quanto esplicitamente stabilito nel protocollo di marzo su coesione e innovazione nella pA. Per queste ragioni, approccio organizzativo e dialogo sociale sono le chiavi per definire un modello di smart-working idoneo per il next normal postpandemico del lavoro anche nelle pubbliche amministrazioni. Per questo, organizzazione e contrattazione sono le dimensioni che consentono di trovare un giusto punto di equilibrio tra le molte opportunità e i non minori rischi che accompagnano le nuove tecnologie, sia nella sfera professionale che in quella sociale.

8. Tuttavia, organizzazione e contrattazione rischiano di restare parole vuote se non accompagnate da un significativo investimento nell’assetto tecnologico e da una radicale revisione di quello procedurale. Il che vuol dire, in altri termini, che per non rendere vuote quelle parole abbiamo il dovere di dare sollecita e compiuta attuazione alle previsioni del PNRR. Per costruire una amministrazione che sappia fare, che faccia e che faccia fare, il contesto, questa volta, è più importante del testo, il contesto organizzativo è più importante del testo regolativo.

*Direttore di “Digit Lab Law”

Ordinario di Diritto del Lavoro Università di Catanzaro

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