Riflessioni critiche su legge e diritto nel pensiero di Nietzsche nel post-moderno

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*Pietro Proto

Se l’universo non è impegnato in un’avventura metafisica, tutto è banale.

(Nicolàs Gomez Dàvila)

Ritorno ad occuparmi dell’aforisma 459 di “Umano troppo umano” di Nietzsche [1] in relazione alla distinzione epistemologica e ontologica come essenza categoriale[2] di legge e diritto rispetto all’epoca attuale della post-modernità[3]. Con questo il diritto si confronta e ne è parte del dibattito critico che investe i grandi temi della fine delle “Grandi Narrazioni”[4] e della fine della storia[5]; della emancipazione del mondo dalla metafisica; l’esclusione di strutture permanenti ed universali, la perdita di senso[6].

Intendo focalizzare l’incidenza “profetica” di Nietzsche sul post-moderno e quanto la sua idea del diritto, espressa nell’aforisma 459 di “Umano troppo umano”, possa ritenersi presente e manifestativa del diritto nel mondo attuale.

L’opera segna una svolta nel pensiero filosofico di Nietzsche. Si distacca dalla metafisica di Schopenhauer e dalla visione tragica di Wagner. Il Filosofo, ne “la nascita della tragedia”, avallava una certa forma di metafisica sia pure immanente, identificata nell’arte tragica, laddove – a ragione – parla di “soluzione trascendentale della giustizia di Eschilo”[7], perché è nell’Orestea che nasce e si istituisce il processo con l’Areopago[8]; ma, nell’aforisma 459 e nel successivo 472[9], avviene un capovolgimento: non esiste più tradizione e con essa non esiste un diritto ereditato. Il diritto diventa un’imposizione necessaria e arbitraria e si è obbligati ad ubbidire a quel potere che ha introdotto la legge per poi minarla con un nuovo potere. Un diritto arbitrario, come, appunto, definito dallo stesso Nietzsche nell’aforisma 459.

Un diritto senza tradizione piomba in una condizione di a-problematicità, di sospensione assiologica, affidato alla contingenza e alla mutevolezza degli eventi non già storici[10], bensì eventi circolari, sempre uguali a se stessi, una sorta di mutevolezza immobile[11]: una metafisica dionisiaca o negativa.

L’esperienza insegna che, nel corso della storia, il diritto positivo ha assorbito in sé principi e contenuti morali che, una volta tradotti nel codice giuridico, hanno subito una trasformazione semantica in senso giuridico. Questo vale anche per le codificazioni illuministiche nelle quali la modernità ha individuato la fine del diritto romano ed il conseguente inizio della identificazione o coincidenza tra legge e diritto[12].

Nietzsche usa indifferentemente i termini diritto e legge: il primo nell’aforisma 459 e il secondo nell’aforisma 472. Ma, la identificazione tra diritto e legge, è connaturata alla stessa concezione nichilista del diritto. Essa, esprimendo la vittoria del positivismo giuridico, sostiene che niente si può contro la legge ma tutto si può con la legge[13]. Il diritto sembra dissolversi nella legge e la sua volatilità ed il suo destino dipende dal tempo di vigenza della legge che a sua volta dipende dalla forza del potere che l’ha istituita e fino a quando un altro potere, non si sostituisce al primo ed impone un’altra legge, secondo l’eterno ritorno del sempre uguale: una sorta di spirale vorticistica di una metafisica dionisiaca e/o negativa. La legge così intesa è indifferente al contenuto e la sua “giuridicità” o “validità”, si riconosce nella sola forma e nelle procedure che la costituiscono.

L’indifferenza, al contenuto della legge, quale riflesso della “ideologia” della “fine della storia”, porta con sé la costruzione di categorie astratte; l’assenza di fedi dogmatiche e di orizzonti metafisici e di ogni idea di senso, prive di contestualizzazione spazio-temporale, che si riflette sulle qualità, condizioni e modi di essere dei soggetti. Il che non può lasciare indifferente il giurista osservatore ed indagatore delle grandi trasformazioni e del divenire dei fenomeni sociali e non può esimersi dall’interrogarsi su un diritto incline ad una deriva nichilista che lascia l’essere abbandonato a se stesso, privo di verità stabili ad affogare nella sua debolezza ed instabilità esistenziale[14].

Una legge, dunque, che non proviene dal basso, dal corpo sociale con funzione e/o finalità ordinamentale e disposta in modo orizzontale, bensì, una legge imposta da una “maggioranza di turno”, contingente e mutevole a seconda delle necessità senza promozionalità e funzione prospettica: un diritto che nasce da se stesso, autopietico, autoreferenziale, indifferente a qualsiasi soggettività e ancor più all’idea di Persona; si incentra sul sein (essere) ed esclude il Sollen (dover essere). Ma, legge e diritto non coincidono[15]. Non coincidono perché il diritto presuppone la legge che lo contiene e preesiste alla stessa[16]. La legge è il generale; il diritto nasce da una idea universale o trascendentale che si esprime nel generale attraverso l’azione comunicativa nelle forme di vita della comunità e successivamente attraverso l’attività ermeneutica diventa mediazione dal generale al particolare[17]. Se le norme vengono da ogni dove e come nascono muoiono[18], ne discende che – una volta esaurita la loro funzione – riprendendo un concetto derridiano – esse diventano decostruibili, mentre non lo è e non può esserlo il diritto[19]. Non lo può essere il “Diritto” perché esso in sé prescinde da un testo o dalla sua incorporazione in un testo. Ma nemmeno la sua presenza in un testo – come avviene nel diritto positivo – lo rende decostruibile. Semmai, lo sarà la proposizione normativa del testo di legge ma non il diritto che ne è l’anima o l’aspetto immateriale: l’essenza di essa legge o norma. La decostruzione tutt’al più potrebbe servire per far affiorare o svelare il diritto. La legge e/o la norma certamente potranno essere oggetto di decostruzione; il diritto no! Le leggi o le norme possono andare e venire da ogni dove, ma il diritto no! Esso si origina nel mondo della vita[20] e muore solo con l’umanità perché è fenomeno umano; dell’uomo per l’uomo: una sua progressiva autoespressione e autorivelazione.

Il diritto è il senso nucleare incorporato nella norma. Se manca tale orizzonte di senso non ci può essere diritto. E’ storia recente la produzione di norme di legge ritenute prive di validità. Secondo la formula di Radbruch[21] le leggi di Norimberga, come per ragioni diverse quelle della ex DDR, erano contrarie all’umanità[22]. Altrettanto in Italia, le leggi razziali del 1938, hanno reso possibile arresti, deportazioni, confische di beni, destituzioni da impieghi e altro[23], ritenuti assolutamente ingiusti.

Legge e non diritto perché, la invalidità delle leggi razziali e la loro contrarietà al diritto, sentenziata dai giudici di Norimberga in poi, si è basata proprio sulla mancanza di diritto di quelle leggi ritenute affette da un’“ingiustizia intollerabile”, anzi addirittura “non diritto” e dunque contrarie al diritto in quanto diritto ingiusto[24]. Sant’Agostino diceva che <<se la legge non è giusta è una legge nulla>>[25] e che <<dove non c’è giustizia vera non vi può essere neppure diritto>>[26]. Nel diritto vi è una tensione teleologica alla giustizia[27]. Il diritto incorpora la giustizia e/o il senso di giustizia, ovvero il senso del diritto è la giustizia[28].

Di qui anche l’ambiguità e non esaustività concettuale del c.d. “principio di legalità” che sarebbe meglio sostituire con quello di “giuridicità”[29].

Nel concetto stesso di “diritto” vi è una promessa di giustizia”: la giustizia come bene interno del diritto[30].

Se la legge può avere qualsiasi contenuto e la norma giuridica non è né vera né falsa, né giusta né ingiusta, in quanto può essere solo valida o invalida secondo il formalismo positivista kelseniano paradossalmente si finisce per dare valido sostegno al “diritto” nazista[31]. E tale spettro – sia pure in maniera mascherata o mimetizzata – continua ad esistere se si ritiene diritto solo quello positivamente dato da una maggioranza di turno o da organismi extra-statuali senza alcuna approvazione popolare, un qualcosa di autoreferenziale[32]. Quindi, mantenere la coincidenza tra legge e diritto è anche intrinsecamente pericoloso. Le leggi possono cambiare e si possono succedere, come in effetti si succedono, anche in base alle diverse politiche seguite e/o praticate di volta in volta dalle varie “maggioranze di turno”, ma il diritto, come senso nucleare e strumento di misurazione e di orientazione della comunità deve esprimere un senso proprio con valore universale perché con esso la legge, per essere vera, oltre che valida, deve confrontarsi ed in esso deve rispecchiarsi.

In conclusione, tirando le fila del discorso, dagli aforismi 459 e 472 dell’opera nietzscheana emerge una condizione e/o un carattere del diritto che racchiude e condensa in sé tutti gli aspetti peculiari e primordiali – e a breve dirò perché primordiali – del post-moderno: la fine della storia e delle certezze, la delegittimazione di tutte le convenzioni, delle istituzioni e di ogni autorità, la frammentazione e settorialità della conoscenza e soprattutto l’affrancazione da ogni metafisica con il consolidarsi della morte di Dio e di conseguenza la perdita del senso di sé.

E con specifico riferimento al fenomeno giuridico l’elemento connotativo è dato dalla fluidità del diritto; dalla perdita di stabilità e identità o ausia.

L’emancipazione del mondo dalla metafisica – auspicata da Nietzsche – comporta la delegittimazione di ogni fondamento anche in campo giuridico ed è quello di cui parla Nietzsche a proposito di un diritto senza tradizione: le leggi si succedono col succedersi delle maggioranze. Non hanno un riferimento certo e stabile.

Ma, in tale succedersi delle alternanze di un potere ad un altro e di una legge ad un’altra non c’è un vero e proprio abbandono della metafisica[33]. Si sostituisce una metafisica ad un’altra: l’eterno ritorno; il susseguirsi di eventi circolari sempre uguali a se stessi che se, da un lato, affrancano il diritto dalla storia o dalla tradizione, dall’altro non lo affrancano da ogni fondamento.

Quest’ultimo è dato appunto dal succedersi delle maggioranze da cui si originerebbe un diritto privo di contenuto, instabile e quindi fluido, liquido per dirla con Bauman, ma che tuttavia trova nella successione di un potere ad un altro la sua origine e necessità.

Se decretare la morte di Dio significa la fine di ogni metafisica allora ha ragione Vattimo a ritenere Nietzsche l’iniziatore della post-modernità anche in campo giuridico, se, invece, la morte di Dio non basta perché la metafisica è capace di altre linfe vitali, di altre modalità manifestative, siamo ancora nell’ambito di un progetto incompiuto della modernità[34].

Ma, il Filosofo italiano, ha ragione nel considerare Nietzsche l’iniziatore del post-moderno perché, almeno in campo giuridico, l’opera in esame, costituisce il primo tentativo meglio riuscito di affrancazione del mondo dalla metafisica, scorporando il diritto dalla storia e da ogni tradizione, consegnandolo alla mutevolezza e volatilità degli eventi dominanti, sia pure in successione circolare. Essa dà vita, più che ad una nuova concezione del diritto, direi ad un’ipotesi o idea fluida del diritto; un’idea del diritto a-storica e a-problematica e aggiungo a-valoriale; uno strumento solutorio contingente.

La segmentazione del soggetto, la perdita del centro, la ibridazione e la desacralizzazione di ogni fondamento, di ogni istituzione e la fine delle Grandi Narrazioni e di ogni certezza e verità, sono espressione di un diritto fluido e contingente; questo è, a sua volta, espressione dei primi: gli uni sono il riflesso dell’altro e viceversa.

Il depotenziamento dei principii generali ne sono una dimostrazione[35].

E’ il nichilismo compiuto, ma da esso non è ancora nato l’oltreuomo. Al contrario si assiste ad un livellamento verso il basso, all’inclinazione verso grossolani racconti e false verità, conoscenze settoriali e a ristrette cerchie di lobby e di elite detentrici del potere.

Se questa è la postmodernità c’è poco da stare allegri. Non credo che Nietzsche immaginasse in tal modo il racconto di Zaratustra. Se invece l’epoca attuale fosse solo l’inizio del postmoderno o il compimento del progetto incompiuto della modernità occorrerebbe attendere la nascita dell’uomo post-moderno e con esso del diritto della post-modernità.

*Cultore Diritto Processuale civile – Un. Magna Graecia – CZ-Comitato Scientifico Il Foro Vibonese


[1] F. Nietzsche, Umano troppo umano, Volume primo, aforisma 459, Versione di Sossio Giametta, Adelphi, Milano, 2013. Si riporta l’aforisma 459: “459. Necessario il diritto arbitrario. I giuristi disputano se un popolo debba vincere il diritto più completamente elaborato o quello più facile a capirsi. Il primo, di cui il modello più alto è quello romano, appare al profano incomprensibile e perciò non come espressione del suo sentimento del diritto. I diritti nazionali, come ad esempio quelli germanici, erano rozzi, superstiziosi, illogici, in parte sciocchi, ma corrispondevano a costumi e sentimenti nazionali ereditati affatto determinati. Ma dove il diritto non è più, come da noi, tradizione, esso può essere solo imposto, solo costrizione; noi tutti non abbiamo più un senso tradizionale del diritto, perciò dobbiamo accontentarci di diritti arbitrari, che sono espressione della necessità che esista un diritto. Ciò che è più logico e comunque allora ciò che è più accettabile, perché è ciò che è più imparziale: anche concedendo che in ogni caso l’unità di misura minima nel rapporto fra reato e pena è fissata arbitrariamente.”. Il giurista, che per primo ha avuto il merito di cogliere il senso e l’attualità del pensiero nietzscheano, è stato il chiarissimo Prof. N. Irti, Nichilismo e concetti giuridici, intorno all’aforisma 459 di “Umano troppo umano”, Editoriale scientifica. Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Facoltà di Giurisprudenza, Napoli, 2005; id.: Il nichilismo giuridico, Laterza, RomaBari, 2005.

[2] Quanto nel testo è con riferimento al mio: Nichilismo giuridico e metafisica. Riflessioni impertinenti sull’aforisma 459 di “Umano troppo umano” e dintorni, in Vivarium, Rivista di Scienze Teologiche, Anno XXV n. 2, Maggio-Agosto 2017, 223 ss.

[3] G. Vattimo fa iniziare il post-moderno con Nietzsche: “E’ solo in virtù delle problematiche di Nietzsche che le sparse teorizzazioni del postmoderno acquistano rigore e dignità filosofica.”; in La fine della modernità, Garzanti, Milano 1985, 9-10. Il Post-moderno è argomento che, per la sua complessità argomentativa e vastità della letteratura che se ne occupa, esula dall’economia del presente elaborato e per esso si rinvia agli autori citati ed alla loro rispettiva copiosa produzione, nonché ad altri eminenti come: R. Rorty, Le cosmopolitisme sans émancipation: en réponse à J.-F. L., “Critique”, 41, 1985, n. 456, 569-80; R. Aron, Le désillusions du progrès, Colmann-Levy, Paris, 1969; F. Rella, Miti e figure del postmoderno, Pratiche, Parma 1981; G. Marramao, Potere e secolarizzazione, Ed. Riuniti, Roma 1983; M. Ferraris, Habermas, Foucault, Derrida, “aut aut” 1985, n. 208, 41-6; Id. Il segno dei tempi, “Alfabeta”, 7, 1985; F. Volpi, Nuova intrasparenza e paradigmi di razionalità nella dialettica di moderno e postmoderno, in AA.VV., Metamorfosi, Laterza, Bari, 1986, 169.90. Sulla metafora della liquidità, entrata nel linguaggio comune, per descrivere la modernità nella quale viviamo, individualizzata, privatizzata, incerta, flessibile, vulnerabile nella quale a una libertà senza precedenti fanno da contraltare una gioia ambigua e un desiderio insaziabile: Z. Bauman, Modernità liquida, Trad. it. di S. Minucci, Laterza, Roma-Bari, 2021; Danni collaterali, Laterza, Roma-Bari, 2013.

[4] G.-F. Lyotard, La condizione postmoderna, trad. it. Carlo Formenti, Milano, Feltrinelli, 1991, 5-7 ss. Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano, 1987, 70 e 73 ss.

[5] G. Vattimo, La fine della modernità, Milano, Garzanti, 1999, 10-12. Id.: Il pensiero debole, a cura di Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, Milano, Feltrinelli, 1983, 15-19. Id.: La fine della modernità. Nichilismo ed ermeneutica nella cultura post-moderna, Garzanti, Milano, 1985; Al di là del soggetto. Heidegger e l’ermeneutica, Feltrinelli, Milano, 1981; Ipotesi su Nietzsche, Giappichelli, Torino, 1967.

[6] V. Scalisi, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, 2005, 45 ss.

[7] F. Nietzsche, La nascita della tragedia dallo spirito della musica, Trad. a cura di Paolo Chiarini, in F. Nietzsche, Vita, pensiero, opere scelte, I grandi filosofi, Il Sole 24Ore Cultura, Milano, 2006, 362.

[8] Con la nascita del processo il diritto esce dalla preistoria in cui dominavano giudici-dei, miti e riti magici, un diritto accettato dall’uomo in modo a-problematico ed entra nella storia, nella problematicità; problematicità che conferisce il senso della giuridicità nella storia; J. Patovska, Saggi eretici sulla filosofia della storia, trad. it. a cura di Davide Stimilli, Einaudi, Torino, 2008, 47 ss.

[9] F. Nietzsche, Umano troppo umano, Volume primo, cit., si riportano del lungo Aforisma 472, solamente alcuni passi pertinenti a quanto nel testo: “472. Religione e governo. (…) Nessuno sentirà verso una legge altro obbligo che quello di inchinarsi per il momento al potere che avrà introdotto la legge: per poi subito rivolgersi a minarla con un nuovo potere, con una maggioranza di nuova formazione. (…). Noi stessi vediamo farsi sempre più pallido e impotente l’importante concetto di diritto e di forza della famiglia, che una volta dominava fin dove giungeva la romanità. (…).”.

[10] Il che ha molto a che fare con il problema della dissoluzione del senso globale della storia, la dissoluzione dei “meta-racconti” di Lyotard, come la fine delle grandi narrazioni; temi, questi, frequenti all’interno della c.d. ideologia della post-modernità: J-F. Lyotard, La condizione postmoderna, trad. it. Carlo Formenti, 5-7 e 54-57, cit.; G. Vattimo, La fine della modernità,cit., 1999, 10-12.

[11] P. Proto, Nichilismo giuridico e metafisica. Riflessioni impertinenti sull’aforisma 459 di “Umano troppo umano” e dintorni, cit., 225.

[12] Categorie e istituti giuridici (come proprietà, possesso, successioni, obbligazioni e contratti, matrimonio ed altri), contenuti nelle codificazioni, sono il frutto ereditato dal diritto romano come, in parte, da altre tradizioni. Inoltre, la coincidenza tra diritto e legge mi sembra più un’affermazione assiomatica e dogmatica acriticamente riportata che piuttosto una corrispondenza alla realtà dei fatti o allo stato delle cose. Di contrario avviso sembra: N. Irti, Nichilismo e concetti giuridici, intorno all’aforisma 459 di “Umano troppo umano”, cit., 11. Critico rifacendosi ai valori costituzionali: V. Scalisi Ritorno al diritto (colloquio con Paolo Grossi), in Riv.dir.civ., 1/2017, 116.

[13] Così: V. Possenti, Il nichilismo giuridico. L’ultima parola?, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012, 112.

[14] V. Scalisi, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, cit., 46.

[15] V. Possenti, Il nichilismo giuridico, l’ultima parola?, cit., 35 ss. V. Scalisi, Categorie e Istituti del diritto civile, Milano, 2005., 6 e 111, ss..

[16] V. Possenti, Il nichilismo giuridico, l’ultima parola?, cit., 37-37 e 112.

[17] M. Barcellona, Critica del nichilismo giuridico, Giappichelli, Torino, 2006, 176. F. Viola, Il diritto come comunità interpretativa, in: F. Viola-G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di una teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 2004, 65 ss. Il diritto positivo come positività ermeneutica: V.Scalisi, Ritorno al diritto (colloquio con Paolo Grossi), cit., 133. P. Proto, La Meta(Oltre)Fisica del processo. A proposito del caso Englaro, cit., 5 ss

[18] N. Irti, Nichilismo e concetti giuridici, intorno all’aforisma 459 di “Umano troppo umano”, cit., 16.

[19] Come detto in precedenza J. Derrida, sostiene la decostruibilità del diritto/legge e la non decostruibilità della “giustizia”: Forza di legge. Il <<fondamento mistico dell’autorità>>, Trad. it. a cura di Angela Di Natale, Bollati, Baringhieri, Torino, 2003, 64.

[20] Sull’origine del diritto nel mondo della vita come da me inteso unificando i concetti di mondo della vita di Husserl e di Habermas, mi permetto di rinviare al mio: Riflessioni eretiche sulla genesi del diritto tra teologia e filosofia, in questa Rivista, n. 1, 2022. Sul “mondo della vita” v.: E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it. di E. Filippini, Milano, 1961, 80-1, 155, 195, 206, 240. J. Habermas, Fatti e norme, cit., 30 ss, 95-96, 116, 171. Un concetto analogo lo esprime Viola in: F. Viola, Il diritto come comunità interpretativa, in: F. Viola-G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di una teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 2004, 65 ss.

[21] G. Vassalli, Formula di Radbruch e diritto penale, Milano, 2001, 6 nota 2, 7.

[22] L’olocausto si è consumato nella “legalità” e nel suo relativo rispetto. Z. Bauman, Modernità e olocausto, Il Mulino, Bologna, 1992, Ed. speciale per Corriere della Sera, 2017, 211 ss.

[23] Vassalli, Formula di Radbruch e diritto penale, cit., 68 ss. e 209 ss.

[24] Vassalli, op.ult.cit., 6 nota 2, 7.

[25] Agostino d’Ippona, De libero arbitrio, I, 5, 11.

[26] Agostino d’Ippona, De civitate Dei, XIX, 21.

[27] V. Possenti, Il nichilismo giuridico, l’ultima parola?, cit., 39.

[28] La giustizia come senso del diritto è la tesi sostenuta da I. Mancini, Diritto e società, Studi e testi. Quattroventi, Urbino 1993, 19. Di “giusto nel legale” parla: B. Romano, I principi generale del diritto, Principio di ragione e principio dialogico, Giappichelli, Torino, 2015., 73 ss.

[29] V. Scalisi, Ritorno al diritto (colloquio con Paolo Grossi), cit., 132

[30] F. Viola, Perché abbiamo bisogno del diritto?, in Le ragioni del diritto, cap. 1. “Le Funzioni del diritto”, a cura di Baldassarre Pastore, Francesco Viola, Giuseppe Zaccaria, il Mulino, 2017, 58.

[31] V. Possenti, Il nichilismo giuridico, l’ultima parola?, cit., 61.

[32] Nella c.d. società liquida, in maniera indolore e non cruento, sotto mentite spoglie e finzioni giuridiche, si stanno realizzando fatti come il programma AKTION T4 e sperimentazioni genetiche della Germania nazista che, fino a qualche tempo fa, destavano orrore: Agosta, Bioetica e Costituzione, II, Milano, 2012, 5. Quando uno Stato, le sue istituzioni sanitarie come un’equipe medica, decide, con l’avallo delle Corti di giustizia, paradossalmente Corte EDU compresa, che un bambino di tenera età – contro la volontà dei genitori (caso Charlie e altri) – debba venire soppresso, morire, perché inutile e costoso curarlo, essendo affetto da morbo incurabile, impedendo agli stessi genitori di condurlo presso strutture sanitarie disposte ad accoglierlo e curarlo a proprie spese, cosa c’è di diverso dal programma nazista AKTION T4? Quale diritto avrebbero affermato quelle corti di “giustizia” e la stessa C. dei diritti umani? E cosa dire delle manipolazioni genetiche per fini egoistici e per soddisfare un capriccio. Dei suicidi assistiti senza causa. Della sovversione dell’ordine naturale sostituendo padre e madre, peraltro termini concettualmente bellissimi e carichi di senso con gli sciocchi, insignificanti e non veri “genitore uno” e “genitore due”. Per il concetto di società liquida accennata nella nota 3: Z. Bauman, Modernità liquida, Trad. it. di S. Minucci, cit.

[33] G. Vattimo, Dalla filologia alla filosofia. Introduzione a Nietzsche, in Scritti Filosofici e Politici, La nave di Teseo, Milano, 2021, 805 ss.

[34] J. Habermas, Senza titolo, Conferenza di Francoforte, trad. it. parziale in “Alfabeta”, n. 22, 1981, 15-17.

[35] N. Irti, Introduzione allo studio del diritto privato, Cedam, Padova, 1990, 86 ss. conferisce ai principii portata più circoscritta se espressi nella legislazione speciale che dà luogo a micro-sistemi.

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