*Domenico Sorace
Si tratterà il tema della prelazione culturale e, in particolare, dei limiti concettuali e delle forme attraverso cui essa può, secondo gli artt. 60, 61, 62 dlgs 42/2004, essere sostanziata. Verrà altresì esaminato il limite motivazionale che è chiamato a presidiare la legittimità del provvedimento di prelazione e la considerazione del concetto di arte, quale strumento e presupposto per la sua adozione.
I
PRINCIPI COSTITUZIONALI
La Costituzione Italiana racchiude, nel quadro dei valori sui quali si fonda, principi che denotano una visione alta e complessa della civiltà cui i Costituenti hanno guardato.
L’art. 9, recentemente novellato nei suoi tratti ambientalistici, statuisce che La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione…
Dunque, la cultura, il patrimonio artistico e storico, assumo, nella visione costituente, una funzione elettiva dei valori nazionali, poiché essi trovano posto nel corpo dei principi fondamentali e si atteggiano quali obiettivi primari cui è chiamata la Repubblica.
La previsione costituzionale ha trovato effettività organica nel dlgs 42/2004, codice dei beni culturali e del paesaggio, che, a proposito di tutela del patrimonio storico ed artistico della Nazione, ha previsto un sistema di vincoli diretti ed indiretti su suoli, compendi architettonici, compendi mobiliari meritevoli di tutela, in vista di un percorso di loro conservazione e valorizzazione.
La questione è stata, da sempre, oggetto di dibattiti vivaci, in rapporto alla natura coattiva dei vincoli, vissuti sovente come ingiusta spoliazione dei privati e quale riflesso di una discrezionalità valutativa eccedente il limite dato, in quanto irragionevolmente declinata verso la dimensione pubblicistica.
Del resto, trattasi di una diatriba giuridica non nuova, che coglie ogni manifestazione discrezionale del potere pubblico, il cui confine va finalizzato, secondo i principi di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione e le precisazioni contenute nella l. 241/1990, con rigore, correttezza e secondo preciso vincolo motivazionale.
In questo contesta teleologico e valoriale si innesta un ulteriore istituto che bene delinea, pur nella sua sfumata evidenza, il sentimento di civiltà immaginato dai Costituenti. Trattasi dell’istituto della prelazione culturale, previsto dagli artt. 60-62 dlgs 42/2004, a mente del quale le transazioni a titolo oneroso di opere d’interesse artistico, architettonico, storico, proprio in rapporto alle valenza sociale che ne è inclusa, devono previamente essere rendicontate all’Autorità Pubblica, anche con riferimento all’entità del corrispettivo, la quale potrà esercitare, nei limiti del valore dato dal soggetto cedente, un diritto potestativo alla loro collettivizzazione.
Trattasi di un potere circoscritto ai soli atti di disposizione onerosi, a significare l’insorgenza del potere di prelazione non attraverso un’iniziativa originaria dello Stato, ma quale riflesso di una libera attività di negoziazione posta in essere dai privati. Si ricorda che, ai sensi dell’art. 60 D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali), l’Amministrazione ha “facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società”. L’esercizio del diritto di prelazione presuppone, pertanto, un trasferimento a titolo oneroso del bene culturale o, comunque, un conferimento dello stesso in società (C.S., VI, 8.2.2016 N. 501).
Ebbene, a fronte della segnalazione ricevuta, o della notizia in qualunque forma avuta, l’Amministrazione Pubblica potrà aprire un complesso procedimento di valutazione ed istruzione, culmine del quale sarà, a seguito di delibazione ponderata degli interessi cntrapposti, l’adozione di un provvedimento amministrativo di adozione della prelazione ovvero di rinuncia alla stessa.
II
LA DISCIPLINA NORMATIVA
A
La normativa sulla prelazione è contenuta all’interno della Parte seconda (Beni culturali), titolo I (Tutela), Capo IV (circolazione in ambito nazionale), sezione II (prelazione) del dlgs 42/2004 e trova il suo prodromo nell’art. 59, a mente del quale tutti gli atti di disposizione, concernenti beni artistici, immobili o mobili, devono essere notiziati al competente ministero. Senso di tale disposizione non è solo la catalogazione e tesaurizzazione delle transazioni di beni artistici, ma anche l’opportunità data allo Stato di far valere, rispetto ad essi, un interesse di pubblica fruizione.
Secondo l’art. 60 (Acquisto in via di prelazione), primo comma, Il Ministero o, nel caso previsto dall’articolo 62, comma 3, la regione o gli altri enti pubblici territoriali interessati, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso o conferiti in società, rispettivamente, al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione o al medesimo valore attribuito nell’atto di conferimento.
Il principio, dunque, ha una portata generale e sottende l’intendimento, giuridico e costituzionale, di socializzare il senso della produzione culturale, rendendola parte di un interesse diffuso e liberamente escutibile.
Peraltro, la precedenza accordata allo Stato non è correlata alla sola compravendita in senso proprio, ma concerne tutti gli atti a titolo oneroso idonei a trasferire la proprietà dei beni, dunque anche il conferimento societario, la permuta e, come si vedrà, la datio in solutum, utile ai fini dell’estinzione dell’obbligazione.
In coerenza a tale impostazione ed in simmetria esattamente contraria, la norma non prescrive alcuna prelazione avuto riguardo ad operazioni di disposizione non generanti trasferimento a titolo definitivo, ad esempio la locazione del bene, il comodato, l’imposizione di un titolo di garanzia. In questi casi, la titolarità del bene rimane integra e, sotto tale profilo, le Istituzioni Pubbliche non hanno titolo, né motivo, per restringerne la portata.
B
In funzione dell’interesse ad acquisire il bene con prelazione, la norma concede allo Stato specifici poteri di scrutinio e valutazione, soprattutto allorchè si compiano operazioni di cessione unitarie, coinvolgenti cioè una pluralità di beni, attraverso corrispettivi non selezionati ma unitariamente determinati.
Ebbene, anche in questo caso la norma fissa il primato pubblico sul negozio traslativo ed autorizza un processo di specificazione del prezzo, secondo il modello fissato dal secondo comma dell’art. 61 il quale statuisce che Qualora il bene sia alienato con altri per un unico corrispettivo o sia ceduto senza previsione di un corrispettivo in denaro ovvero sia dato in permuta, il valore economico è determinato d’ufficio dal soggetto che procede alla prelazione ai sensi del comma 1.
Peraltro, in analogia a quanto ricorre nei contratti di estimazione ed a sottolineare la funzione non compulsiva, né definitoria dell’intervento statale, viene dato modo all’alienante di non aderire alla stima effettuata ai sensi del comma 2, consentendo il ricorso ad un soggetto terzo, anche attraverso la mediazione del Presidente del Tribunale territorialmente competente. Tale dato è significativo, giacchè per un verso dimostra il valore pubblicistico delle transazioni in questione, per altro verso ne esclude il profilo di coattività e coercitività originaria – tratto proprio e specifico delle procedure di espropriazione e requisizione – attraverso il diritto del cedente di ritrarsi dal negozio di cessione e/o di contestare la stima. Il comma 3, sul punto, è lapidario: 3. Ove l’alienante non ritenga di accettare la determinazione effettuata ai sensi del comma 2, il valore economico della cosa è stabilito da un terzo, designato concordemente dall’alienante e dal soggetto che procede alla prelazione. Se le parti non si accordano per la nomina del terzo, ovvero per la sua sostituzione qualora il terzo nominato non voglia o non possa accettare l’incarico, la nomina è effettuata, su richiesta di una delle parti, dal presidente del tribunale del luogo in cui è stato concluso il contratto. Le spese relative sono anticipate dall’alienante.
Non solo, ma a significare che la prelazione non ha alcun intento ablativo, né si atteggia quale misura forzosa ed unilaterale, il comma 4 concede alle parti, dunque anche all’alienante, di impugnare la stima del terzo in caso di errore o di manifesta iniquità.
La norma non chiarisce se, in presenza di un corrispettivo fissato a seguito di procedimento di estimazione, anche veicolato dalla nomina di un perito da parte del Tribunale, il proprietario del bene artistico possa ritrarsi dalla cessione, allorchè non condivida le conclusioni estimative. A mio parere si, giacchè la decisione se cedere ed a quali condizioni economiche rimane pur sempre incardinata presso il soggetto privato, potendo lo Stato insinuare la sua prelazione solo a parità delle condizioni economiche date dal cedente.
Il quinto comma, ancora, ha inteso rendere universale l’istituto e precisato che il diritto di prelazione pubblica possa essere fatto valere in ogni sorta di traslazione onerosa, anche nell’ipotesi di “datio in solutum”: La prelazione può essere esercitata anche quando il bene sia a qualunque titolo dato in pagamento. Tale estensione, conseguenza logica del principio tutorio dato, potrà certamente generare disagi presso il titolare del bene, latore di una volontà adempitoria che la prelazione ha attitudine a frustrare. Il caso è, sul piano della scala dei valori, interessante, considerata la prevalenza data al valore sociale del bene storico/culturale rispetto al principio di doverosa estinzione di una obbligazione.
Medesimo ragionamento potrà farsi, infine, relativamente alle acquisizioni di beni d’arte per successione ereditaria che, si ritiene, debbano partecipare delle medesime questioni tutorie. Gli eredi designati, dunque, saranno chiamati a segnalare l’acquisto del bene d’arte e, in ipotesi, a subire l’esercizio della prelazione da parte dello Stato/Ente Pubblico, alle condizioni e nei termini dati.
III
DIRITTO DI PRELAZIONE E CONCETTO DI ARTE. QUESTIONI APERTE E MOTIVAZOINE DELL’ATTO
Il vero tema è intendere quando ed in quali limiti può essere esercitato il titolo di prelazione sul bene artistico. Fondamento sostanziale dell’istituto è la sussistenza di un’opera – manufatto mobile o immobile – di oggettivo e socialmente apprezzabile rilievo artistico, tale da giustificare l’esercizio di un potere pubblico che implichi un correlativo impegno di risorse. Trattasi di questione assai delicata, giacchè il senso, il contenuto, il limite della consistenza artistica di un bene è soggetto a valutazioni percettive e concettuali in perenne evoluzione e si avvale di uno scrutinio ampiamente discrezionale, non risultando canoni ontologici e scientifici per conferire il crisma del valore culturale ed artistico ad un’opera.
In realtà, la profilatura artistica di un bene dipende da un insieme di fattori, taluni centrati su elementi verificabili, altri riferiti a fattori volubili, quali l’impatto percettivo, l’effetto simbolico, il dato emozionale, il richiamo evocativo, la stimmate storicistica, la significanza poetica. Tali elementi di volubilità si sono significativamente accentuati negli ultimi 150 anni, nel corso dei quali si sono asserite forme d’arte estranee ai canoni classici, fondati sul concetto di perfezione, bellezza, simmetria, armonia. Hanno, al contrario, trovato posto espressioni e rappresentazioni fondate piuttosto sul dato evocativo, simbologico, onirico, cromatico, disancorato in definitiva dagli stilemi tradizionali e dai canoni tradizionalmente riferibili all’arte classica. Si pensi alla rivoluzione dell’impressionismo, oppure a quella del cubismo, del futurismo, del fauvismo, del dadaismo. Insomma, all’universo variegato degli autori del novecento e del nostro tempo, in cui la definizione artistica ha finito di essere un riflesso intrinseco dell’opera, della sua simmetria o raffinatezza, ma di valori altri, talvolta poco perscrutabili, pensati dall’artista fuori da ogni canone usuale. E così, un manubrio di bici, una lattina di Coca Cola, uno strappo di rete, una distesa bianca possono essere altro dalla apparente banalità loro insita, per diventare sostanza altra, come nelle opere di Andy Warhol, di Marcel Duchamp, di Alberto Burri e, persino, nelle deiezioni di Piero Manzoni. In questi casi, i puristi dell’arte – intesa come ricerca estetica, fondata sull’armonia delle forme, sulla simmetria, sulla coerenza coloristica, sulla capacità illusionistica del pittore – troverebbero difficoltà a considerare artistiche quelle espressioni, in nome dei canoni di bellezza derivati dal mondo classico e da quello medievale e moderno. E tuttavia, nessuno dubiterebbe che Picasso, Braque, Boccioni, De Chirico, Van Gogh, Cezanne, Duchamp, con il loro modo eretico di spingere l’espressione ed il colore oltre il senso comune, siano estranei alla comunità artistica e non abbiano piuttosto concorso a formare una coscienza estetica nuova, fondata sulla forza evocativa, simbolica ed addirittura distruttiva delle nuove opere.
In queste condizioni di frammentazione concettuale, quali potrebbero essere i presupposti per l’asserzione di un bene come artistico e, a seguire, per legittimare l’esercizio della prelazione culturale? Non v’è rischio di un continuo censurare le scelte dell’Amministrazione Pubblica e di un eccesso di giurisdizionalizzazione del concetto di arte?
La norma, correttamente, ha evitato di fornire un suo orientamento e fissare un canone ontologico. Ha, piuttosto, lasciato alla responsabilità dell’Istituzione pubblica di precisare il senso, lo scopo e la causa del suo intervento prelatorio, onerandola a rendere manifeste le coordinate motivazionali alla base del suo intervento. Il punto è ben chiarito in seno all’art. 62, recante Procedimento per la prelazione, in cui è chiarito, al comma 1, che Il soprintendente, ricevuta la denuncia di un atto soggetto a prelazione, ne dà immediata comunicazione alla regione e agli altri enti pubblici territoriali nel cui ambito si trova il bene. Trattandosi di bene mobile, la regione ne dà notizia sul proprio Bollettino Ufficiale ed eventualmente mediante altri idonei mezzi di pubblicità a livello nazionale, con la descrizione dell’opera e l’indicazione del prezzo.
Segue da tale impostazione che l’attività posta in essere dall’Amministrazione Pubblica si atteggia, in materia, come altamente discrezionale e che la legittimità dell’atto dipenda dalla qualità della motivazione, chiamata a rendicontare la rilevanza artistica, la significatività sociale, la congruità dell’impegno di spesa rispetto alla prospettiva pubblicistica dell’azione. Sulla questione si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, anche nell’ottica di chiarire il senso delle situazioni giuridiche dispiegate e la giurisdizione competente, hanno avuto modo di asserire che In tema di beni di rilievo storico e artistico, le norme succedutesi nel tempo(l. n. 1089/1939 ; d.lgs 490/1999 e ora D.lgs 42/2004) hanno demandato alla P.A. di valutare se, tenuto conto delle caratteristiche dei beni, del prezzo per essi pattuito e delle risorse finanziarie disponibili, sussista o meno l’utilità di acquisirne la proprietà con prelazione rispetto al terzo acquirente. Trattandosi di valutazione discrezionale, a fronte della quale le parti private si trovano in una situazione di soggezione, la cognizione sulla legittimità del provvedimento con cui la P.A., attraverso una fase procedimentalizzata a garanzia sua e delle stesse parti, esercita – in condizioni di supremazia – detta prelazione, è demandata alla giurisdizione del giudice amministrativo. (Cass.SS.UU. N. 10619 DEL 3.5.2010).
Dunque, l’iter di formazione di un provvedimento di prelazione è frutto di un procedimento complesso, composto da una sequela di atti non isolati ma teleologicamente orientati.
In una prima fase, si osserva una metodica quasi meccanica, con il Soprintendente chiamato a dare seguito all’informazione ricevuta e ad investire della questione la Regione o gli altri pubblici territoriali nel cui ambito si trovi il bene. A seguito di tale passaggio, si apre una fase di valutazione ed audit, finalizzata alla descrizione e stima, in termine dato, dell’opera e, in prognosi, alla sua possibile inclusione nel novero dei beni socialmente fruibili. La fase si chiude con l’asserzione di una formale proposta motivata di delazione, da accompagnarsi da specifica osservazione delle spese spettanti e delle correlative coperture finanziarie. L’art. 62 comma 2 è, sul punto, lapidario: La regione e gli altri enti pubblici territoriali, nel termine di venti giorni dalla denuncia, formulano al Ministero una proposta motivata di prelazione, corredata dalla deliberazione dell’organo competente che predisponga, a valere sul bilancio dell’ente, la necessaria copertura finanziaria della spesa indicando le specifiche finalità di valorizzazione culturale del bene (comma così modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 156 del 2006). Gli enti della fase endoprocedimentale, in definitiva, sono chiamati ad una doppia delibazione: per un verso riconoscono la caratura artistica del bene ed il suo riflesso pubblicistico e sociale (specifiche finalità di valorizzazione culturale del bene): per altro verso, danno vita alla necessaria ponderazione degli interessi in gioco, correlandoli alle risorse occorrenti e,in definitiva, formalizzano la loro proposta.
In definitiva, la prelazione di un bene culturale non è la risultante di una sua cognizione aprioristica ed avulsa, ma è frutto di una determinazione complessa e riflettuta, che vede coinvolti, quali parti di un medesimo disegno, così le istituzioni periferiche, come quelle centrali. Ciò nell’intesa che perno ed epicentro dell’operazione rimane, comunque, il privato proprietario, libero se aderire alla proposta di acquisto della P.A., ovvero se rinunciare tout court alla cessione. Ciò che, come si è detto, distingue l’istituto della prelazione da quelli – di ordine coercitivo – correlati all’espropriazione e/o alla requisizione di beni.
IV
QUESTIONI PROCEDURALI. GIACENZA DEL RAPPORTO DI CESSIONE TRA PRIVATI. COMPETENZA AD AGIRE
A
Sul piano procedurale, rimane da dire che l’avvio dell’iter di prelazione non dipende dalla sola informativa data dal proprietario del bene. Qualunque fonte informativa, anche aperta, può essere utile ad avviare il complesso iter di prelazione. Si osserva, in tale modalità elastica, il tentativo dell’Ordinamento di superare certa resistenza, evidentemente legata alla filiera burocratica, verso l’interlocuzione diretta con lo Stato-Apparato. In funzione di quanto sopra, l’art. 61 comma 2 ha inteso dilatare (180 giorni) i termini standard di prelazione (60 giorni) ed atipizzare il dies a quo per il suo esercizio: Nel caso in cui la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente oppure risulti incompleta, la prelazione è esercitata nel termine di centottanta giorni dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o ha comunque acquisito tutti gli elementi costitutivi della stessa ai sensi dell’articolo 59, comma 4. Ciò a dimostrazione che l’istituto della prelazione culturale costituisce una opzione universale, non legata ad un unico fattore procedente.
Tuttavia, fuori da tale contesto di eccezionalità, la norma ha comunque fissato limiti certi ed inderogabili per l’esercizio della prelazione. Ciò nell’interesse della libera circolazione dei beni culturali/artistici e dell’autonomia privata dei soggetti protagonisti della negoziazione. L’art. 61 (Condizioni della prelazione) ha, sul punto, stabilito che 1. La prelazione è esercitata nel termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia prevista dall’articolo 59, mentre il successivo comma 3, a rendere tassativo e corrispettivo il vincolo economico sottostante, ha stabilito che Entro i termini indicati dai commi 1 e 2 il provvedimento di prelazione è notificato all’alienante ed all’acquirente.
Quanto alla forma della ‘denuncia’ richiamata dall’art. 61 comma 1, la giurisprudenza ha compiuto un’opera di desacralizzazione, stabilendo il principio di strumentalità della stessa. In particolare, ha asserito che In relazione alla formulazione degli artt. 59 e 61 D.lgs 42/2004, non può non ritenersi applicabile il principio di strumentalità delle forme, secondo cui le modalità e il contenuto della denuncia de quo devono ritenersi viziate, in modo tale da rendere la denuncia stessa “tamquam non esset”, solo qualora i dati trasmessi non consentano l’apprezzamento discrezionale, cui la comunicazione è finalizzata (C.S., VI, 27.2.2008 n. 713). Parimenti libere sono state ritenute le forme della notifica del provvedimento di prelazione: Non sussiste alcun dubbio circa il fatto che l’atto con cui viene esercitato il diritto di prelazione abbia carattere stragiudiziale, con la conseguenza che la notifica dello stesso non debba necessariamente essere effettuata attraverso l’utilizzo degli strumenti tipici della notificazione degli atti processuali, se pure non possa ritenersi che tale strumento risulti precluso in via di principio in capo all’amministrazione (Tar Puglia, Lecce, 8.6.2006 n. 3343). Per incidens, il momento della notifica è saliente, giacchè, come recita l’artt. 61 comma 3 ultima parte, La proprietà passa allo Stato dalla data dell’ultima notifica.
B
Ovviamente, ci si è domandati a chi spetti la competenza, presso l’Ente Locale, ad adottare il provvedimento di prelazione. Trattandosi di questione che afferisce all’assetto patrimoniale dell’Ente, è certo che essa spetti al Consiglio Comunale: L’atto con il quale, ai sensi dell’art 62 comma 3, D.lgs 22.1.2004, n. 42 (Codice dei beni culturali), viene esercitato il potere di prelazione, rientrando nella materia degli acquisti ed alienazioni immobiliari di cui all’art. 42 comma 2, D.Lgs. 28 agosto 2000 n. 267 (T.U. Enti locali), appartiene alla competenza del Consiglio comunale… (Tar Campania, Salerno, I, 4.10.2016 n. 2234). Ovviamente, tale soluzione attiene alla fase finale, di adozione del provvedimento di prelazione ex art. 62 comma 3 e di impegno delle relative risorse. Per le questioni antecedenti, concernenti la definizione della necessaria e propedeutica fase istruttoria e valutativa di cui all’art. 62 comma 2, la competenza è invece riferibile all’organo di governo, ovvero alla Giunta ed agli uffici ratione materiae preposti: In materia di acquisti ed alienazioni immobiliari, ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. l), D.lgs. 267/2000 , per individuare la corretta ripartizione delle competenze nell’adozione degli atti previsti dall’art. 62 del D.Lgs 42/2004 (in tema di procedimento per la prelazione), occorre distinguere fra gli atti di cui al comma 3 dell’art. 62, con cui viene in concreto esercitato il diritto di prelazione e che determinano il trasferimento del bene in capo all’ente che l’abbia adottato e quelli di cui al comma 2 dell’art. 62, cit., con cui l’ente interessato formula nei confronti del competente Ministero la propedeutica proposta di prelazione. Mentre infatti gli atti del primo tipo rientrano “pleno jure” fra quelli inerenti alla materia degli “acquisti ed alienazioni immobiliari”, di cui è menzione all’art. 42 , comma 2, lett. l), TUEL-D.lgs 267/2000 , con la relativa competenza del Consiglio comunale, gli atti del secondo tipo, che hanno carattere meramente preparatorio, prodromico rispetto al trasferimento della titolarità del bene, possono correttamente essere ascritti al novero di quelli menzionati nell’art 42 Tuel, con la conseguenza che la relativa competenza correttamente va ascritta all’ambito operativo della Giunta comunale (v. art. 48 Tuel ) (C.S., VI, 22.9.2008 N. 4569).
C
Rimane da considerare cosa accade al negozio giuridico avviato tra venditore e parte privata, nell’attesa delle determinazioni della mano pubblica. La norma è protesa a contemperare le doppie ed opposte esigenze di socializzazione dell’opera d’arte e di libera circolazione della stessa. Così, da un lato, l’art. 61 comma 4 prescrive che In pendenza del termine prescritto dal comma 1 l’atto di alienazione rimane condizionato sospensivamente all’esercizio della prelazione e all’alienante è vietato effettuare la consegna della cosa; dall’altro lato, quale implicita conseguenza della tassatività dei termini dati, prevede che l’inutile decorso dei termini per l’esercizio della prelazione valga quale decadenza della medesima e, dunque, quale liberalizzazione dei contratti stipulati.
La questione è stata esaminata dalla giurisprudenza, anche riguardo alle sue implicazioni causali e negoziali. In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Ordinanza 15.12.2021 n. 40179) hanno asserito che In tema di alienazione di bene sottoposto a vincolo di interesse artistico o storico, l’art 61 del D.lgs 4272004 vieta espressamente la consegna del bene medesimo prima della scadenza del termine per l’esercizio del diritto di prelazione, avendo tale norma lo scopo di impedire la sua apprensione materiale da parte del compratore, prima che la P.A. abbia esercitato, o scelto di non esercitare, il proprio diritto di prelazione nell’acquisto, onde evitare il possibile consolidamento di posizioni giuridiche, ovvero la realizzazione di interventi e modificazioni del bene oggetto del vincolo, incompatibili con l’esercizio del diritto suddetto; tale disposizione, tuttavia, non impedisce che il prezzo sia pagato anticipatamente e, cioè, prima del decorso del predetto termine ovvero prima della stipula del contratto definitivo di compravendita, costituendo la regolazione del corrispettivo vicenda interna al rapporto contrattuale tra le parti – e, dunque, un elemento neutro rispetto alla posizione della P.A. – che trova la sua disciplina all’interno di esso, attraverso gli ordinari strumenti di tutela negoziale.
Un’ultima notazione merita l’eventualità che il bene oggetto di prelazione possa essere, al contempo, sottoposto a vincolo ministeriale, in ragione della sua riconosciuta valenza storica, artistica, culturale. Ebbene, in questo caso, come precisato dalla giurisprudenza, il mancato esercizio del titolo di prelazione non va a detrimento del vincolo, essendo stato precisato che Il diritto di prelazione è previsto dal Legislatore a tutela della P. A. allo scopo di garantire a quest’ultima la possibilità di acquisire beni di rilevante valore storico artistico ma ciò non implica, nel caso di mancato esercizio del diritto, la decadenza del vincolo imposto sul bene in questione (C.S. VI, 26.7.2016 N. 3363).
V
RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE – VINCOLI DERIVANTI DALLE CLAUSOLE DEL CONTRATTO DI CESSIONE.
Ci si è chiesti se l’esercizio della prelazione culturale implichi l’accettazione di tutte le clausole contenute nel contratto di cessione o se, invece, lo Stato rimanga vincolato nei limiti del titolo di acquisto preferenziale e del corrispettivo dichiarato. La risposta è fornita dall’art. 61 comma 5, a mente del quale Le clausole del contratto di alienazione non vincolano lo Stato.
Dunque, l’interesse dello Stato all’acquisizione dell’opera non è neutra e/o passiva, ma importa un approccio selettivo, a salvaguardia dei valori pubblicistici che sono correlati alla funzione. In particolare, è coerente con il potere di supremazia esercitato dallo Stato e con i valori pubblicistici che gli sono connessi prevedere che le clausole fissate tra le parti private non possano tout court, oltre il prezzo di vendita, impegnare le istituzioni pubbliche oltre il limite della cessione. Ciò ad evitare che esse contengano prescrizioni e limiti non coerenti con il titolo di proprietà pubblica e con l’esclusività delle correlate prerogative. Si pensi a clausole limitative dell’uso e/o dell’efficacia (es., obbligo di mettere a disposizione del proprietario il bene venduto a sua semplice richiesta, obbligo di restituzione in caso di mancata esposizione in termine dato, etc.) che, se efficaci nella libera determinazione delle parti private, risulteranno nulle qualora incardinate presso un soggetto pubblico, chiamato a specifiche responsabilità erariali e non passibile di limitazioni che non siano finalizzate in ottica pubblicistica.
Specularmente a quanto sopra, rimangono sullo sfondo i diritti e gli interessi dei promissari acquirenti/venditori privati. Costoro, mettendo al centro della negoziazione un’opera d’arte, sono chiamati a conoscere le implicazioni che tale attività ha attitudine a generare. Tra esse, l’eventualità che un intervento dello Stato possa interdire il buon fine dell’operazione e vanificare il senso della trattativa. Tale dato fa escludere, in filiera, che, in tali circostanze, possa darsi, di per sé ed al netto di possibili nullità e\o illeciti da parte della P.A., la formazione di un danno ingiusto, dunque risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale, ai danni così del cedente come dell’acquirente.
Riguardo a quest’ultimo, peraltro, la norma ha tipizzato una legittima opportunità dissolutoria, con riferimento all’ipotesi di cessione plurima di beni con un unico atto. In questo caso, nell’ipotesi che la prelazione pubblica venga esercitata solo su uno o alcuno dei beni, è dato all’acquirente di manifestare il suo disinteresse verso gli altri e, dunque, di smarcarsi dall’intero negozio, senza che questo gli valga una qualche ragione di responsabilità. La conclusione è suffragata, oltre che dai principi generali in materia di responsabilità contrattuale e pre-contrattuale, anche dall’art. 61 comma 6 del dlgs 42/2004, a mente del quale Nel caso in cui il Ministero eserciti la prelazione su parte delle cose alienate, l’acquirente ha facoltà di recedere dal contratto.
VI
DECADENZA DELL’ESERCIZIO DELLA PRELAZIONE
L’esercizio della prelazione culturale non è un atto dovuto né, come visto, esercitabile sine die. Essendo frutto di una valutazione pubblicistica comparata, ad effetto compressivo, essa deve saper contemperare, in termine dato, per un verso la sussistenza di una valore sociale del bene, per altro verso il sacrificio di risorse allo scopo occorrenti, per altro verso ancora gli interessi privati sottostanti.
In questo senso, è stato previsto che, decorsi i termini essenziali per l’esercizio della prelazione, ovvero formalizzata la rinuncia alla stessa, anche in assenza di specifica motivazione, si determinerà la riespansione del negozio di cessione onerosa corso tra privati e, dunque, la libera circolazione dei beni attenzionati.
Ovviamente, in questo quadro saranno possibili soluzioni intermedie. Ad esempio, l’eventualità che la rinuncia ministeriale possa non essere assoluta, ma avere connotato traslativo, in favore di altro ente pubblico interessato e\o coinvolto. Anche in questo caso, tuttavia, l’opzione è sottoposta a termini essenziali e perentori, come prescrive l’art. 62 comma 3 dlgs 42/2004, a mente del quale Il Ministero può rinunciare all’esercizio della prelazione, trasferendone la facoltà all’ente interessato entro venti giorni dalla ricezione della denuncia. Detto ente assume il relativo impegno di spesa, adotta il provvedimento di prelazione e lo notifica all’alienante ed all’acquirente entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia medesima. La proprietà del bene passa all’ente che ha esercitato la prelazione dalla data dell’ultima notifica (comma così modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 156 del 2006). Anche in questa peculiare casistica, peraltro, valgono le ragioni erariali in ipotesi di omessa e\o erronea denuncia: Nei casi in cui la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente oppure risulti incompleta, il termine indicato al comma 2 è di novanta giorni ed i termini stabiliti al comma 3, primo e secondo periodo, sono, rispettivamente, di centoventi e centottanta giorni. Essi decorrono dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o ha comunque acquisito tutti gli elementi costitutivi della stessa ai sensi dell’articolo 59, comma 4(art. 62 comma 4. Comma così sostituito dall’art. 2 del d.lgs. n. 62 del 2008).
VII
RIMEDI E TUTELE GIURISDIZIONALI
E’ del tutto evidente che l’esercizio del potere di prelazione, proprio perché ad effetti pluricompressivi (verso il cedente e verso il cessionario) può dar corpo ad un contenzioso giudiziario, tendente a far valere la compiuta decadenza del termine di prelazione e/o l’insussistenza dei presupposti per farla valere.
Un primo tema, già accennato, concerne il riparto di giurisdizione. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con riferimento allo spirare del termine essenziale dato, con ordinanza n. 7643 dell’1.4.2020 hanno avuto modo di precisare, a proposito del riparto di giurisdizione e della natura dell’interesse giuridico fatto valere dal ricorrente, che L’atto di esercizio del diritto di prelazione artistica spettante alla P.A. è un provvedimento amministrativo in relazione al quale, ove si contesti la tempestività della sua adozione, è configurabile la giurisdizione del giudice amministrativo, vertendosi in una ipotesi di carenza di potere in concreto, in quanto attinente al “quomodo” della potestà pubblica, sicchè la posizione fatta valere dalla parte privata acquirente che lo abbia subito è di interesse legittimo oppositivo, e non di diritto soggettivo. Nel medesimo solco ermeneutico, è stato affermato (C.S. ,VI, 30.7.2018 N. 4667) che L’atto di prelazione artistica, ai sensi del D.lgs 22.1.2004 n. 42 , è un provvedimento amministrativo in correlazione al quale il privato è titolare di un interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice del giudice amministrativo.
In definitiva, il Giudice amministrativo, in quanto chiamato allo scrutinio di specifici interessi legittimi, avrà onere di valutare la sussistenza del potere in capo all’Amministrazione procedente, l’esistenza del bene artistico attenzionato, la sussistenza delle risorse occorrenti, la riferibilità della prelazione ad un atto di cessione a titolo oneroso ed ogni altro elemento che ciascuna delle parti ricorrenti riterrà utile far valere per, infine, sentenziare circa la legittimità dell’atto e, in ipotesi, circa gli effetti risarcitori che, in ipotesi, potranno dalla parte non soccombente essere fatti valere.
Un secondo tema concerne l’eventualità che, in presenza di un esercizio del potere pubbico totalmente fuorviato e privo di competenza funzionale, vi sia luogo per un ripristino della giurisdizione ordinaria, rispetto alla libera negoziazione dei beni d’arte. In questo caso la giurisprudenza ha avuto occasione di ripensare la senso del riparto giurisdizionale e, sulla scorta delle determinazioni contenute nell’art. 21 septies l. 241/1990, ha avuto modo di affermare che La giurisdizione del Giudice ordinario è configurabile solo in presenza di un atto nullo perchè adottato in difetto assoluto di attribuzione e dunque in carenza di potere in astratto (C.S., VI, 30.7.2018 N. 4667).
CONCLUSIONI
Il diritto di prelazione artistica costituisce, nel corpo del complesso sistema valoriale della nostra Nazione, un modello giuridico-costituzionale tipico, teso a far valere l’interesse primario dello Stato verso l’universo indistinto della produzione artistica e storiografica. Detto interesse ha evidente natura pubblicistica ed è proiettato a considerare il bene d’arte quale oggetto di pubblica fruizione e, per questa via, quale strumento indispensabile per la crescita civile e morale della Nazione. E’ in funzione di questa ottica che è previsto che l’interesse potestativo della Stato non possa trovare compressione e/o compromissione, né nell’inerzia delle parti, né nell’oscuramento dei titoli privati di cessione. Sul punto, il Consiglio di Stato ha asserito il perdurante interesse dello Stato, anche in ipotesi di ostile usucapione del bene: Il possesso ventennale ad usucapionem di un bene soggetto a prelazione storico artistica non estingue il diritto di prelazione spettante allo Stato in base ad un precedente atto di alienazione non denunciato, se non sia stato esercitato secondo modalità confliggenti con il diritto di prelazione stesso (C.S., VI, n. 5671 del 3.10.2018). Nel contempo, allo scopo di riconoscere il corrispettivo titolo alla libera circolazione dei beni, detto interesse dello Stato non può sfuggire ai vincoli di tipicità e certezza, oltre che di tempestività e corretta motivazione.
Ne segue che l’Istituto della prelazione artistica, nel suo tendere a mediare le opposte esigenze che giungono dall’universo privato e da quello pubblico, segna uno snodo interessante nel processo di costruzione del modello di civiltà giuridica perseguito in fase costituente. In essa, più in dettaglio, trova traccia l’umanesimo libertario, sociale e morale che è obiettivo primario della nostra Costituzione e che, attraverso i rimandi di essa (artt. 10, 117 Cost.),pervade anche l’ordinamento comunitario ed internazionale.
*avvocato, referente COA per il progetto ‘Il Foro Vibonese’
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