Così l’accademico Giorgio Spangher ha definito lo spirito della riforma nel corso del convegno organizzato dall’Ordine. Il ruolo del GIP (controllore del PM o ‘invasore di campo’?) delineato da Giulia Pantano, Procuratore Aggiunto di Catanzaro. Marco Sciascio e Marco Gabriele: “La predibattimentale impone all’avvocato di scegliere subito la strada”
Giovedì 18 maggio scorso, nella sala congressi del 501 Hotel, gli iscritti hanno ascoltato l’analisi della riforma Cartabia da uno degli studiosi più ‘gettonati’ del momento: Giorgio Spangher, Emerito di procedura penale all’Università La Sapienza di Roma. Insieme a lui, allo scopo di conferire una visione d’insieme sul nuovo rito, un magistrato, Giulia Pantano, Procuratore aggiunto a Catanzaro, e due giovani avvocati, Marco Sciascio del Foro di Bologna e Marco Gabriele del Foro di Roma.
Moderatore dei lavori, l’avvocato: Patrizio Cuppari del Foro di Bologna, il quale ha ricordato l’obiettivo ‘europeo’ della riforma (ridurre i processi penali del 25% entro il 2026; evitare la prescrizione così come la lunghezza del procedimento), per poi introdurre la relazione del prof. Spangher.

Spangher: nè contro la riforma nè a favore. Di certo decongestiona il sistema
Quest’ultimo, premettendo di non essere né a favore né contro la riforma, ha esordito con una riflessione sullo stato dell’arte: “Siamo in una fase avanzata. Sono passati sette mesi e a fine giugno la riforma entrerà in vigore del tutto. Iniziano a arrivare le prime sentenze, e quando si sarà stabilizzata potremo fare una riflessione di sistema. Ma già oggi abbiamo alcuni elementi e alcuni profili su cui si possono intravedere le prime criticità. Giorni fa, a Trieste, ho partecipato a un convegno in cui si discuteva sulla possibilità, da parte del giudice del dibattimento, di applicare o no le spontanee dichiarazioni ex art. 350 cpp ai fini della valutazione della possibilità di decidere o no se emettere la sentenza di non luogo a procedere oppure passare a dibattimento. Questo per farvi capire che le norme della riforma Cartabia stanno trovano pratica attuazione. Questo passaggio ci serve per capire il senso sistematico della riforma, cioè capire dove si posizioneranno l’archiviazione e la sentenza predibattimentale. Altro aspetto, sul quale resta un punto interrogativo: i riti premiali sono ancora i vecchi riti premiali? Oggi, queste cose non sono prospettabili”.
Per inciso, Spangher ha precisato che, seppure molte richieste di rivisitazione, specie da parte degli avvocati, stanno sorgendo a causa delle difficoltà di applicazione “la riforma non si cambia perché è stata negoziata con l’Europa ed è legata ai fondi del PNNR. Non è ancora tempo per dire se è buona o cattiva e io non sono qui per questo. Di certo, risolve l’esigenza di decongestionamento: non si possono più fare amnistie, né prescrizioni dopo il primo grado, né depenalizzazioni”. Peraltro, ha ricordato, “Il resto del processo non cambia. Si è aggiunta soltanto l’udienza predibattimentale. Vengono impediti corretti comportamenti scorretti che erano divenuti patologici. Con il nuovo articolo 581 cpp cambia il modo di proposizione delle impugnazioni. Cambiano l’iscrizione nel registro delle notizie di reato e le notificazioni. Si prevedono le videoconferenze e le partecipazioni a distanza”.
Il che non significa che sia rimasta immutata la concezione del procedimento penale, anzi. Con un termine efficace (‘processo a trazione anteriore’), il prof. Spangher è riuscito, sinteticamente, a individuare la novità più rilevante: “Si cerca di portare il baricentro del processo nella fase di indagini e di udienza preliminare. E’ infatti in questa sede che viene anticipata la costituzione di parte civile. Altro elemento di anticipo: il controllo sulla regolarità dell’iscrizione e sul tempo del deposito, cioè su quando si apre il processo, da parte del giudice. Tutto in modo tale che si possa andare a dibattimento con meno intoppi procedimentali, rafforzando il principio di non regressione. Aver spostato il baricentro rafforza il ruolo del giudice, o così almeno sembra. Vediamo se, come diceva Franco Cordero, prevarrà la vischiosità dei comportamenti oppure assisteremo a una vera velocizzazione. La modifica dell’art. 415 bis e l’introduzione del 415 ter mutano il ruolo del giudice, non più giudice dell’atto ma giudice del procedimento perché, specialmente la seconda norma gli conferisce un potere sollecitatorio nei confronti del PM. Abbiamo perso per strada la contumacia. Probabilmente c’è la volontà che l’indagato/imputato stia nel procedimento. Ma non è che con questa riforma viene completato il nuovo processo penale. Ci saranno altri step. Sono aumentati i riti speciali, e le novità consistono in un ampliamento delle possibilità di accesso ai riti speciali e in un aumento dei vantaggi premiali connessi alla loro scelta. Si prevedono quattro pene principali e quattro sostitutive. La scelta è in funzione deflattiva. La Tenuità del fatto è rafforzata. Si pone però il problema se la mancata richiesta di adesione sia un comportamento ostativo post factum per l’applicazione della messa alla prova. Così come sono state rafforzate la sospensione e la messa alla prova, sia nel corso delle indagini preliminari (464 ter) sia ne corso dell’udienza.Qui entra in gioco – notare bene- il ruolo del difensore, perché siccome la premialità è destinata ad affievolirsi nel corso del procedimento, egli, insieme all’imputato, deve saper scegliere la strada da percorrere già nella fase precedente”.
Richiamando una frase di Tullio Padovani, il prof. Emerito ha detto che questo processo sembra connotato da una vena di “soave inquisizione”, perché “suggerisce adesioni vantaggiose a fronte di incerti esiti processuali. La logica dell’accertamento investigativo, del resto, non si innesta in una fase a forte connotazione garantista, come era alle origini del modello accusatorio, ma in un percorso ibrido con accentuati recuperi del materiale d’accusa e da marcati interventi del giudicante. Quindi la Cartabia fa una scelta di sistema. Si snatura il senso classico e storico del processo penale che spesso smarrisce la propria essenza. Per un verso, in relazione alle emergenze criminali,o presunte tali, si accentuano le spinte repressive; dall’altro, per la criminalità a medio-bassa intensità si pregiudica la sua natura sostanziale-qualitativa che le è propria, considerati i valori in gioco, per approdare a una burocratico-quantitativa di impostazione quasi aziendalista. Il rischio è quello di fare numeri a scapito della qualità delle decisioni. Peraltro- ha concluso- tra ragionevole previsione della condanna e sostenibilità dell’accusa c’è grande differenza. Sarà possibile ottenere sentenze di archiviazione e di non luogo a procedere”.

Pantano: alcune novelle rischiano di dilatare i tempi del procedimento e non di accorciarli
La seconda relazione, incentrata sulle indagini preliminari, è stata curata Giulia Pantano. Secondo il magistrato della Procura di Catanzaro, la riforma, stabilendo un controllo giudiziale sui tempi con cui il PM esercita l’azione penale, non solo non raggiungerà l’obiettivo ma consente al giudicante una discutibile invasione di campo nella sfera dell’imputazione: “ Il d.lgs. n. 150/2022 amplia lo spazio di vaglio e controllo del Gip sull’attività condotta dal PM. La riforma interviene sui tempi morti tra il deposito ex art. 415 bis e l’inizio dell’esercizio dell’azione penale. Viene soppresso l’art. 125 disp.att. Alcune novità normative, tuttavia, rischiano di dilatare i tempi del procedimento anziché accorciarli. Tra questi, il potere di retrodatazione da parte del giudice, perché la difesa può sempre chiederla, come pure può chiedere il riesame dell’ordinanza. A quel punto vi sarà poca certezza sulla utilizzabilità degli atti, perché se si sposta la data di iscrizione si sposta, di conseguenza, la data delle indagini”.
Altro punto da verificare cammin facendo consiste, secondo Giulia Pantano, nella “riconosciuta possibilità di sollecitare il controllo al giudice disegnata all’art. 335-quater c.p.p., Altro potere officioso è riconosciuto ex art. 335-ter c.p.p. al giudice quanto all’individuazione del nome dell’altra persona da sottoporre ad indagini, esercitabile, dopo aver sentito il p.m. quando deve compiere un atto del procedimento. Nulla viene detto, invero, circa l’iter che il giudice deve seguire per sentire l’organo inquirente, né l’ambito entro il quale il primo può indicare gli elementi indiziari a carico di un soggetto. Nemmeno il rafforzato potere di controllo del Procuratore Generale sull’operato del PM accelera il procedimento, perché la PG, in caso di avocazione degli atti, non credo sia attrezzata per svolgere le indagini. Peraltro, in tal modo si è voluto ingessare il potere del PM contro il dettato dell’art. 109 delle disposizioni di attuazione e contro l’articolo 1 del dlgs 106/2006 secondo cui è il PM a dover assicurare la corretta osservanza delle iscrizioni”.
Infine, la preoccupazione del PM su alcune novelle che non condurranno all’auspicata velocizzazione del procedimento: “Le modifiche con riferimento alle videoregistrazioni sono a tratti superflue. Siccome esistono soltanto due ipotesi di inammissibilità per violazione del procedimento videoregistrato, c’è da chiedersi a che pro esistano tutte le altre ipotesi. Poi, se il PM chiede una proroga di indagini e il GIP non la concede, e se il PM chiede l’archiviazione e il GIP ordina nuove indagini, le finestre di giurisdizione, cioè i momenti di verifica di alcune specifiche attività messe in campo dalle Procure, operano a discovery avvenuta. Così il procedimento non va più veloce”.
Altro punto fondamentale delle indagini preliminari, il nuovo capo d’imputazione (cioè la ormai famosa ‘Rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice’) . Secondo Giulia Pantano “Il 335 aggiornato valorizza eccessivamente dal punto di vista probatorio la notizia di reato, perché prevede i criteri sostanziali per l’iscrizione. Non sono convinta nemmeno dal nuovo 335-ter, secondo cui l’iscrizione coatta può essere ordinata dal GIP in ogni momento della fase di indagini preliminari. Si attribuisce un potere di controllo al giudice che potrebbe avere una ricaduta inquisitoria, perché a quel punto l’imputato potrebbe essere indotto a ricorrere a riti alternativi”. Inoltre, “Con l’art. 420 quater, cioè con la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato, il GUP sembra diventare giudice del dibattimento. E l’aver stabilito ‘Elementi che non consentono ragionevoli previsioni di condanna’ è come dire tutto e non dire niente”.
Ultimo punto considerato dal Procuratore aggiunto di Cantanzaro sono i criteri di priorità dei procedimenti (art. 127 bis disp. Att., secondo cui il PG presso la CdA tiene conto dei criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio della procura della Repubblica che ha iscritto la notizia di reato), che a suo avviso mancano ancora di coordinamento legislativo: “È un criterio di priorità finora era contenuto solo nell’art. 132 bis disp. att. che non riguardava però la fase di indagini. Per queste c’erano soltanto alcune direttive ministeriali. La legge 71/2021 ha stabilito che le priorità sono rimesse a progetti organizzativi delle Procure. Ma i criteri di priorità non sono ancora legge e saranno quelli a determinare i progetti organizzativi delle procure”.

Dopo l’accademico e il magistrato, gli avvocati. Ha iniziato Marco Sciascio, incaricato di trattare “gli innesti sulla fase del giudizio preliminare”.
Il penalista bolognese ha passato in rassegna gli istituti della costituzione delle parti, delle notifiche e, quindi, della nuova sentenza circa il soggetto irreperibile, “Sentenza che poi sarà anche oggetto di revoca”. Poi, il nuovo termine per la costituzione di parte civile “che deve arrivare entro e non oltre l’udienza preliminare”.
Sempre relativamente alla all’udienza preliminare, Sciascio si è soffermato sulla sentenza ex art. 425 (di non luogo a procedere) “la quale oggi ha anche ulteriore possibilità di divenire una sentenza di proscioglimento anche qualora gli elementi non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna. Qui aggiungouin considerazioni sul nuovo ruolo del difensore, che deve essere sempre più attivo nella fase delle indagini e nell’udienza preliminare, quindi meno attendista rispetto al passato”. Quest’opera deflattiva del carico giudiziale, finalità della riforma, deve essere contemperato con l’implementazione dei riti alternativi, la conversione delle pene, l’innalzamento del minimo edittale anche per la messa alla prova e, non da ultimo, anche la diminuzione in fase esecutiva di 1/6 sull’abbreviato”.
Ultimo aspetto trattato, la formulazione del capo di imputazione: “Si dice, o perlomeno la prospettazione è questa, che in fase di udienza preliminare l’imputazione debba avere una stabilizzazione, anche tramite il controllo di questo Gup che diventerà sempre più invasivo anche sull’operato del PM”. Conclusioni di Marco Sciascio: “Non è una riforma che convince tantissimo. Convincerà solo se gli attori che ve ne prendono parte effettivamente vadano tutti verso la stessa direzione.Non è tanto lo strumento che è stato dato, ma quanto la realizzazione che verrà affidata ai singoli”.
Ultima relazione, quella di Marco Gabriele, presidente dell’AIGA di Roma (‘L’udienza predibattimentale’), che prima di entrare nel vivo del tema ha anch’egli ricordato che “La riforma rafforza il potere dei giudici ma parla agli avvocati per dire che non bisogna aspettare la prescrizione. Questo mondo è finito. L’avvocato deve avere fin da subito la capacità di capire quale strada deve prendere. Nel nuovo codice il giudice offre all’imputato la possibilità di pene sostitutive. Da notare, inoltre, che per la prima volta si inizia a parlare di efficacia, efficienza del procedimento penale. In qualche modo sembrerebbe posta in secondo piano la garanzia dei diritti della difesa attraverso un giusto processo. Sostanzialmente si inizia a spostare il focus del giusto processo, si inizia a pensare che debba essere anche un processo efficiente ed efficace. E che un processo, seppur nelle garanzie delle parti e nel contraddittorio tra le parti, ma che dura 7 anni, 6 anni o 5 anni, e poi fino in Cassazione, non è più considerato un giusto processo”.
La scelta del rito alternativo deve operarsi nell’udienza di comparizione predibattimentale (art. 554 bis) “che è l’udienza dibattimentale dei processi a citazione diretta di fronte al tribunale monocratico. Il suo scopo principale è assicurare un vaglio preliminare della fondatezza dell’accusa anche in caso di citazione diretta in questa sede. Questa udienza è il cuore della riforma. Se fallisce l’una, fallisce anche l’altra. Ed è una fase fondamentale per la difesa. In questa sede, da una parte c’è l’interlocuzione tra giudice e pm, nella quale il primo deve chiedere al secondo di adeguare l’imputazione qualora l’accusa non sia enunciata in modo chiaro e preciso, così come richiesto dall’art. 552 comma 1 lett. c. Dall’altra il ruolo dell’avvocato, che deve optare per i riti alternativi. una scelta che il comma 2 dell’art. 554 ter c.p.p. colloca, a pena di decadenza, prima della decisione conclusiva dell’udienza. E’ stato poi ampliato il numero di reati riferiti alla citazione diretta”.
Qualora il procedimento non debba concludersi con una sentenza di non luogo a procedere, che deve essere motivata, è seguita da una “prosecuzione” del giudizio non soggetta a particolari formalità (art. 554 ter comma 3), perché il rinvio a giudizio non deve essere motivato. Ma qui, secondo Marco Gabriele, “c’è il rischio di default, che sta nell’aver inserito nel procedimento penale una categoria di giudice a se stante,
Qualora il procedimento non debba concludersi con una sentenza di non luogo a procedere, che deve essere motivata, è seguita da una “prosecuzione” del giudizio non soggetta a particolari formalità (art. 554 ter comma 3), perché il rinvio a giudizio non deve essere motivato. Ma qui, secondo Marco Gabriele, “c’è il rischio di default, che sta nell’aver inserito nel procedimento penale una categoria di giudice a se stante. L’udienza di comparizione predibattimentale prevede che il giudice nominato ad hoc, che non può essere il giudice del futuro dibattimento, quindi dovrà essere un giudice diverso. In altri termini, c’è un giudice che seguirà l’udienza predibattimentale. E se decidesse di non chiudere con un non luogo a procedere il il procedimento, ci sarà un rinvio di fronte a un’altro giudice: Primo problema, perché i tribunali avranno necessità di più giudici, perché viceversa si creerebbero delle incompatibilità. Quindi ci sarà sicuramente una difficoltà per i tribunali, ci sarà un carico di gestire queste situazioni con due giudici incompatibili che potrebbero diventare tre, perché il PM, laddove il giudice dell’udienza predibattimentale si risolvesse non luogo a procedere e chiudere il procedimento, può fare appello. E laddove in sede di appello gli diano ragione e il procedimento retrocede in sede di udienza predibattimentale, il giudice dovrebbe essere un’altro, quindi sostanzialmente ci sarebbero tre giudici, in questo caso, che diventerebbero incompatibili“.
In conclusione, secondo Marco Gabriele, l’introduzione della ‘predibattimentale’ avrà un senso se raggiungerà “lo scopo principale, quello di assicurare un vaglio preliminare sulla fondatezza dell’accusa, anche in caso di citazione diretta dinanzi al Monocratico. E questo avverrà, fatto sulla base dello stesso criterio decisorio previsto in sede di udienza preliminare e in rapporto alla richiesta di archiviazione. In altri termini ,non è più consentito esercitare l’azione penale quando gli elementi raccolti non giustificano una ragionevole previsione di condanna. Sostanzialmente l’obiettivo è quello di evitare processi che siano del tutto inutili e anche per questo si spiega perché il giudice, anche in questa udienza, dovrà verificare la impostazione del capo di imputazione e avrà questo potere di ingerenza sul PM .L’obiettivo della riforma, ovviamente, è aumentare i provvedimenti di non luogo a procedere”.
I lavori del convegno sono stati introdotti da Caterina Giuliano, consigliera dell’OdA. E’ intervenuto il Presidente Franco De Luca, il quale ha ricordato l’impegno dell’Ordine degli avvocati vibonese in queste iniziative (quella di giovedì è stata già l’undicesima) di formazione sulla riforma Cartabia.
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