I penalisti italiani confidano sul Ministro della Giustizia Nordio. La Magistratura: “L’Unione Europea ha preso a modello il sistema italiano“
La “riforma delle riforrme”, quella della separazione delle carriere giudicante e requirente. Il principale obiettivo, a parere della classe forense, per rendere effettvamente giusto il processo penale.
Non dello stesso parere, invece, la magistratura. Che, com’è noto, dall’ANM a tutte le correnti ha già pronunciato un inequivocabile no. Posizione ovviamente ribadita dall’ospite togato del convegno indetto il 16 giugno, nella sala covegni di un albergo cittadino, dalla Camera Penale ‘Casuscelli’ di Vibo Valentia, dove sono intervenuti i vertici nazionali delle associazioni rappresentative dei penalisti italiani.

A partire da Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere penali italiane, il quale confida nel Ministro della Giustizia Nordio ma sa che la battaglia sarà difficile: «La riforma è il nostro principale obiettivo. Chiediamo sia concretizzato l’impegno da parte del Governo che l’ha annunciata già in campagna elettorale. Giudice e Pm devono appartenere a ordinamenti diversi, concorsi diversi, formazione professionale diversa, per la semplice ragione che bisogna recuperare l’indipendenza del giudice. Le idee di Carlo Nordio cominciano a concretizzarsi. È stata data grande attenzione ai temi della libertà personale, alla tutela della riservatezza delle conversazioni. Bene anche l’eliminazione del reato di abuso in atti d’ufficio. Siamo sulla buona strada. Si può fare molto di più, ma va bene così».
I lavori sono stati introdotti da Stefania rombolà, membro della Camera Penale. Dopo i saluti istituzionali del sindaco di Vibo Valentia Maria Limardo, del presidente del CoA vibonese Franco De Luca, dei rappresentanti delle Camere penali calabresi Valerio Mugano (Catanzaro); Renzo Andricciola (Lamezia Terme); Tonino Curatolo (Reggio Calabria), Roberto Le Pera (Cosenza); Giuseppe Milicia (Palmi), Giuseppe Bruno (Paola), è toccato ai relatori.
Ettore Squillace, Ordinario di diritto penale all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, ha argomentato a favore della separazione : “Secondo l’art. 111 della Costituzione ogni processo si svolge in condizione di parità davanti a un giudice terzo e imparziale. Ricordo che Giovanni Falcone, in una intervista del 1991 disse che un sistema accusatorio parte dal presupposto di un PM che raccoglie gli elementi di prova da raggiungersi in contraddittorio e nel corso di un dibattimento. Ciò significa che al PM occorre esperienza, competenza e preparazione tecnica per perseguire l’obiettivo. Poi, nel dibattimento non deve essere una specie di para-giudice, come invece oggi è. Il giudice deve essere una figura neutrale ma oggi questo principio è contraddetto dal fatto che avendo formazione e carriere unificate, con destinazione e ruoli intercambiabili, giudici e pm sono indistinguibili gli uni dagli altri”
In dissenso con il precedente intervento, quello del sostituto procuratore della Repubblica di Vibo Valentia Maria Cecilia Rebecchi: “La cosiddetta commistione delle carriere- ha affermato– non è tale da mettere a rischio la terzietà del giudice. Peraltro, il Consiglio dell’UE, in diverse determinazioni, invita a prevedere per gli stati membri la possibilità di scambio nelle funzioni requirente e giudicante. In questo, l’esperienza italiana è stata assunta a modello perché in grado di avvantaggiare il cittadino”.
Nicola Mazzacuva, Ordinario di diritto penale all’Università di Bologna e presidente del Consiglio delle Camere Penali Italiane , ha aggiunto ulteriori argomenti a favore della separazione: “Giudici e PM non possono appartenere a un unico ordine, non possono essere sottoposti al potere disciplinare di uno stesso organismo, cioè il CSM, non possono condividere gli stessi meccanismi di selezione elettorale della loro classe dirigente. Nel processo penale liberale, nel giusto processo, il diritto di difesa della persona imputata o sottoposta a indagine assume la massima estensione. Tale modello rifiuta l’idea di poteri attribuiti, a titolo di soccorso, al giudice o all’organo dell’accusa; colloca il giudice in posizione di rigorosa imparzialità, il cui presupposto essenziale è la terzietà, ossia la distinzione, sul piano dell’ordinamento prima ancora che del processo, tra la figura del giudice e quella di chi svolge la funzione di accusatore“.

L’incontro è stato moderato da Giuseppe Aloi, presidente della Camera penale di Vibo Valentia. Dato il suo ruolo nel convegno, ha offerto qualche spunto sul tema a margine dei lavori: (“Dal 2017 abbiamo raccolto 75.000 firme per proporre al Parlamento una riforma sulla separazione dei poteri”).
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