L’evoluzione della normativa sul riutilizzo dei beni confiscati fra problemi attuali e riflessi applicativi

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Antonio Scuticchio*

 

1.  L’Evoluzione della normativa sul riutilizzo dei beni confiscati

1.1 La Legge ‘Rognoni-La Torre’n. 646/1982 e la previsione della  L. 282/1989.
1.2 L’utilizzo a fini sociali dei beni confiscati .
1.3 Il ruolo dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati (Anbsc)

2. Le Criticità nella fase della destinazione dei beni

2.1 Brevi cenni sulla procedura di destinazione dei beni confiscati
2.2. Gli ostacoli ambientali, economici e burocratici al riutilizzo
2.3. Le strategie di superamento delle problematiche

 

Premessa

Il presente lavoro, partendo dalla ricognizione ed evoluzione legislativa sul riutilizzo dei beni confiscati,  si concentrerà sui dati reali – così come emergenti dalla banca dati dell’ANBSC- e sugli aspetti pratici- e connessi problemi – dell’assegnazione e del riutilizzo dei beni.

Se è vero, infatti, che l’efficacia di un sistema legislativo si verifica in rapporto alla sua applicazione, il primo dato di partenza della presente analisi non può che essere il censimento di Open Regio (il sistema informativo di cui si è dotata l’ANBSC ai sensi del DPR 233/2011 per il supporto operativo all’attività di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), dal quale risulta che, al 30 giugno 2024, 4870 sono le procedure in gestione; 1792 sono le aziende ‘destinate’ (cioè con decreto di destinazione dell’ANBSC, tutte non soggette a verifica ex art. 48 CAM) e 3.202 le aziende in gestione (cioè pervenute nella gestione della agenzia ma ancora non destinate); 22.111 sono gli immobili in gestione e 20mila esatti quelli ‘destinati’;  infine,le imprese in confisca definitiva sono 3069.

Nella seconda parte del presente lavoro sarà svolta una analisi nel dettaglio dei suddetti dati, con lo scopo di comprendere l’efficienza quali/quantitativa dell’azione di riutilizzo dei beni confiscati.

1. Evoluzione della normativa sul riutilizzo dei beni confiscati

 

1.1 La Legge ‘Rognoni-La Torre’n. 646/1982 e la previsione della  L. 282/1989

        Come si legge sul sito internet dell’ANBSC, Nel percorso evolutivo-normativo che ha portato alla sua nascita, una prima importante tappa è rappresentata dalla Legge Rognoni-La Torre (Legge 646/82).

        Per la prima volta nel nostro ordinamento ha trovato spazio il principio secondo il quale, per contrastare in maniera efficace le organizzazioni criminali di tipo mafioso, è necessario aggredirne i patrimoni, evitando che i criminali, attraverso l’investimento degli ingenti capitali ottenuti illecitamente in nuove attività economiche, commerciali e finanziarie, possano continuare a corrompere e alterare interi settori di mercato.

In relazione ai beni confiscati, le principali novità della legge Rognoni-La Torre

possono essere così sintetizzate:

– introduzione nel C.P. italiano dell’art. 416-bis (Associazione di tipo mafioso)

– previsione della confisca obbligatoria dei beni per i condannati che appartengono ad associazioni mafiose (comma 7).

– possibilità di disporre il sequestro dei beni appartenuti al soggetto destinatario di un procedimento di prevenzione, accusato di appartenere all’associazione mafiosa se il valore di tali beni risulti sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, ovvero se si ha motivo di ritenere che i beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

        I risultati delle nuove disposizioni normative furono inizialmente modesti: la mancanza di progettualità circa l’utilizzo dei beni dopo la confisca fece sì che molti di questi fossero lasciati in stato di abbandono, se non addirittura gestiti dai familiari degli stessi destinatari della confisca. Con ovvie conseguenze negative il territorio: non solo non si concretizzava in alcun modo il “passaggio di proprietà” cui era stato coinvolto il bene e si mancava l’obiettivo di dare ai cittadini la sensazione di una maggiore presenza dello Stato ma, al contrario, si alimentava l’impressione di lontananza fra l’azione repressiva dello Stato e la vita quotidiana degli abitanti i territori ad alta incidenza mafiosa.

        Il legislatore ha tentato di porre rimedio con il D.l 14 giugno 1989 n. 230 (‘Disposizioni urgenti per l‟amministrazione e la destinazione dei beni confiscati ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575’) convertito in legge 4 agosto 1989 n. 282. Questo aggiungeva alla procedura prevista dalla Rognoni–La Torre la nomina di un amministratore, per provvedere alla conservazione e all’amministrazione dei beni confiscati. Ma la mancanza di reali poteri amministrativi e decisionali, nonché di mezzi economici e la mancata distinzione fra le tipologie di beni cui doveva garantire la salvaguardia, fecero della figura dell’amministratore un fallimento, poiché incapace di garantire la tutela sia del valore economico del bene, sia del suo valore simbolico.

        Si venne a determinare dunque una situazione di stallo, difficile da superare per mancanza di chiarezza legislativa e per l’assenza di procedure chiare e soprattutto ineccepibili per la destinazione finale dei beni[i].

         Con l’emanazione del D.L. 230/1989, convertito nella L. 282/1989, per la prima volta viene considerata la possibilità di conservare i beni immobili confiscati al patrimonio dello Stato, consentendone la relativa utilizzazione, ovvero di trasferirli a titolo gratuito ad altro ente pubblico per essere destinati al perseguimento di fini istituzionali. Per i beni aziendali, invece, viene prevista la cessione, anche a titolo gratuito a società e imprese per la continuità produttiva e occupazionale, oltre alla vendita o alla liquidazione. La destinazione è deliberata dal Ministro delle finanze su proposta del Prefetto.

 

1.2  L’utilizzo a fini sociali dei beni confiscati

        Partendo dal presupposto che per contrastare la criminalità organizzata e ripristinare la legalità risultasse essenziale coinvolgere l’opinione pubblica e che un forte messaggio in tal senso fosse rappresentato dalla restituzione dei beni a quella stessa popolazione danneggiata dal fenomeno criminale, con il D.L. 399/94 si è previsto che i beni confiscati, trasferiti agli enti territoriali vengano utilizzati non solo per fini istituzionali, ma anche per fini sociali.

        I successivi interventi normativi sono stati rivolti per lo più alla soluzione delle criticità procedurali. In particolare, l’amministrazione dei beni è passata dal Ministero delle finanze all’Agenzia del Demanio, mentre la competenza alla loro destinazione un tempo affidata al Ministro delle finanze è poi stata attribuita al Direttore dell’Agenzia del demanio ed in ultimo ai Prefetti.

        Già a quel tempo l’aumento dei beni confiscati e le sempre più complesse attività da definire nell’ambito della loro gestione e destinazione  evidenziavano la necessità di istituire un’unica struttura che ne assicurasse una più efficace amministrazione e consentisse una loro più rapida destinazione.

        A metà degli anni ‘90, grazie alla spinta di alcune associazioni antimafia nacque l’idea che i beni confiscati, oltre ad essere un esito tangibile dell’azione repressiva dello Stato, potessero diventare anche l’occasione per dare avvio ad un’azione che indebolisse il consenso e il potere territoriale della mafia, attraverso la destinazione a fini sociali.

        La legge 109, approvata il 7 marzo 1996, sancisce l’uso a fini sociali dei beni confiscati alle organizzazioni mafiose e all’art. 2 suddivide i beni fra le diverse tipologie e ne prevede i rispettivi riutilizzi in un impianto che resterà sostanzialmente invariato nel CAM; nello specifico distingue fra:

beni mobili (denaro, titoli, autoveicoli, etc.): vengono utilizzati per  risarcire le vittime dei reati di tipo mafioso o altrimenti versati all’Ufficio del Registro per alimentare il fondo provinciale presso le Prefetture, istituito dalla stessa legge;

beni immobili: possono essere mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, ordine pubblico e protezione civile, oppure “trasferiti al patrimonio del comune ove l’immobile è sito, per finalità istituzionali o sociali. Il comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad organizzazioni di volontariato[…] a cooperative sociali […] , o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti […]”

beni aziendali: sono mantenuti al patrimonio dello Stato e destinati all’affitto, “quando vi siano fondate prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività produttiva, […] a titolo oneroso a società e imprese pubbliche o private, […] a titolo gratuito, senza oneri per lo Stato, a cooperative di lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata” o alla vendita e alla liquidazione, qualora vi sia una maggiore utilità per l’interesse pubblico.

Aziende: L’Agenzia le può destinare all’affitto (a titolo oneroso o gratuito, ad es. a cooperative di lavoratori dipendenti dell’impresa confiscata), alla vendita e anche alla liquidazione, quando le altre due possibilità risultino impraticabili.      Con le aziende confiscate, l’obiettivo fondamentale è quello di organizzare un sistema che dia risposte ai territori, accompagni le imprese in grado di reggersi nel mercato e tolga, invece, dal mercato le cd. ‘scatole vuote’  e quei soggetti che, utilizzando tecniche di imposizione illegali, hanno danneggiato gli operatori economici sani.

        Importante innovazione della legge 109/96 è la creazione di una banca dati relativa ai beni sequestrati e confiscati, allo stato dei procedimenti e infine alla destinazioni e utilizzo degli stessi beni.

        Risulta dunque evidente come la 109/96 rifletta un nuovo approccio, positivo, alle strategie di contrasto alle mafie: i beni confiscati diventano un’occasione di prevenzione, di sviluppo economico e sociale. L’intento di questa misura va oltre la necessità di frenare gli effetti invasivi delle ricchezze di origine criminale sul tessuto sociale ed economico sul territorio; mira infatti ad eliminare l’immagine di supremazia di cui i mafiosi godono nei luoghi che controllano, permette di rompere il loro legame con tale contesto, istituendo su quegli stessi luoghi delle nuove retoriche, positive, di governo del territorio.

        Se la legge Rognoni–La Torre aveva dimostrato che lo Stato poteva intaccare i patrimoni dei boss permettendo il loro isolamento economico, adesso la legge 109/96 rende l’azione dello Stato immediatamente riconoscibile, assegnando a questi beni una nuova valenza simbolica.

        Si apre dunque una nuova epoca della lotta alla criminalità organizzata, che unisce, nell’assegnazione a fini sociali dei beni confiscati, strumenti repressivi e di prevenzione.

 

1.3 Il ruolo dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati (Anbsc)

        Dopo il varo della 109/96 venne posta in rilievo (nel dibattito dottrinario) l’insufficienza di tale legge a risolvere le problematiche inerenti alla gestione e alla destinazione dei beni a causa  mancanza di una cabina di regia nazionale che orientasse l’azione delle istituzioni verso l’utilizzo effettivo del bene.

        A 14 anni di distanza dalla legge 109/96, è stato promulgato il D.L. 4 febbraio 2010 n. 4, convertito in L. n.50 del 31 marzo 2010 (poi confluito nel CAM) che ha previsto l’istituzione dell’ANBSC, con l’obiettivo digarantire la gestione unitaria e coordinata dei beni confiscati.

        Con essa, si mira a velocizzare la fase di destinazione dei beni s. e c., superando le carenze  della precedente metodologia di gestione.

        Il  D.lgs 159/2011 ha stabilito i compiti e la funzione dell’ANBSC, che fondamentalmente delibera in ordine alla destinazione dei beni s. e c., versando al FUG le somme di denaro derivanti dalla loro vendita, gestione e liquidazione. Con le leggi n. 161/2017 e 132/2018 ne sono state riorganizzate struttura, composizione e competenze.

        In sintesi, la prima norma del CAM in cui viene in rilievo l’ANBSC è l’art. 38, il cui intento consiste nel far valutare all’Agenzia, prima della confisca, il bene in un momento precedente alla presa in gestione, al fine da proporre al Tribunale i ‘correttivi’ necessari in vista della sua futura assegnazione o destinazione. Ancor prima, l’Agenzia è in grado di conoscere il bene attraverso la relazione dell’amministratore giudiziario (art. 36 co. 3 e 41[ii]).

        Anche l’art. 40 prevede il coinvolgimento dell’Agenzia, da parte del G.D., in una fase precedente alla confisca di II grado (co. 1) e anche l’assegnazione dei beni sequestrati (co. 5-bis), con previsione di vendita (5-ter) se c’è pericolo di deterioramento o che producano ‘rilevanti diseconomie’.

        L’art. 41 riguarda le aziende sequestrate, delle quali l’amministratore stila una relazione che trasmette anche all’ANBSC la quale, in questa fase, svolge la cd. funzione ausiliaria nei confronti dell’amministratore giudiziario.

        L’art. 47 disciplina il procedimento di destinazione dei beni immobili e dei beni aziendali, stabilendo che essa è effettuata con delibera del Consiglio direttivo dell’Agenzia, sulla base della stima del valore risultante dalla relazione dell’amministratore (art. 36), e da altri atti giudiziari.

        Nelll’art. 48 è trasfuso l’art. 2 della l. 109/1996, successivamente modificato che stabilisce la destinazione dei beni, con le seguenti novità (della L. 161/2017): con riguardo ai beni immobili, essi sono mantenuti al patrimonio dello Stato e, previa autorizzazione del Min. Interno, utilizzati dall’Agenzia per finalità economiche. Altra novità, risiede nella possibilità di affidamento diretto. Il co. 5, introdotto dal d.l. 113/2018 stabilisce, quale extrema ratio nel caso non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per finalità di pubblico interesse, che l’Agenzia disponga la vendita dei medesimi, con vincolo quinquennale di proprietà (non per le aziende).

        Sempre con la l. 132/2018 viene soppressa l’assegnazione automatica ai Comuni, prevista dalla legislazione vigente, con concessione a titolo gratuito ad associazioni, comunità o enti per il recupero di tossicodipendenti operanti nel territorio ove è sito l’immobile confiscato (art. 36, co. 3, lett. a), c).

2. Le Criticità nella fase del processo di destinazione dei beni

 

2.1 BREVI CENNI SULLA PROCEDURA DI DESTINAZIONE DEI BENI CONFISCATi

        Il procedimento di assegnazione inizia per impulso dell’ANBSC, che richiede la disponibilità nel ricevimento dei beni da parte degli enti pubblici ed in particolare degli enti locali, attraverso una serie di sistemi.

        Uno è quello della normale call pubblica[iii], svolta dal Demanio per quanto riguarda gli enti statali, mentre per gli enti locali se ne occupa direttamente l’Agenzia, richiedendo se un determinato bene sia o meno di interesse da parte dei soggetti pubblici territoriali.

        Secondo sistema è quello delle Conferenze di servizi.

        Il terzo-  possibilità introdotta dalla legge 161/2017 – è il bando per i soggetti del terzo settore, (associazioni no profit, cooperative sociali).

        Nel 2020 è stato pubblicato il primo bando relativo al terzo settore, che ha individuato cinque  aree tematiche, nell’ambito  delle quali potevano essere elaborati progetti[iv].

        Gli enti del terzo settore presentano all’ANBSC  un progetto di utilizzo sociale che deve dettagliare come il bene sarà valorizzato per finalità sociali, quali attività saranno svolte e quali benefici apporterà alla comunità. Una volta assegnati, i beni sono soggetti a monitoraggio e controllo per garantire che siano utilizzati secondo le finalità stabilite. Gli enti assegnatari devono presentare periodicamente relazioni sull’utilizzo dei beni e sugli impatti sociali delle attività svolte. L’ANBSC effettua ispezioni e verifiche per assicurare la corretta gestione dei beni.

 

2.2. Gli ostacoli ambientali, economici e burocratici al riutilizzo

        Secondo i dati presenti in Open regio, al 30 settembre 2024, su 20mila immobili destinati, 951 (quasi il 5%) non sono utilizzati. Su 4870 procedure in gestione, per 521 confische nel frattempo è intervenuta la revoca (oltre il 10% dei beni). La nota dolente è rappresentata dalle aziende: su 1792 destinate, appena risultano in 87 in vendita e 3 in affitto. Tutte le altre, per le quali è finito il processo gestorio, sono in stato di liquidazione (quasi il 98%, quindi).

        Ciò dovrebbe significare che, nonostante i numerosi passi avanti del sistema di gestione e riutilizzo dei b.c. , è innegabile come permangano ancora criticità di varia natura, che si concretizzano sia prima dell’effettivo riutilizzo, sia successivamente, una volta che il bene è attivo nelle sue nuove funzioni.

        In alcuni casi persistono resistenze da parte del contesto ambientale, perpetrate anche con minacce, violenze e deturpazioni, da parte degli appartenenti alle organizzazioni criminali i cui aderenti sono stati colpiti dalle confische. Spesso  l’ultimo atto dell’attività del di malavitosi, nel momento in cui questi rilasciano il bene è quello di distruggerlo, quello di farlo arrivare nelle peggiori condizioni possibili[v].

        Le maggiori difficoltà di riutilizzo delle aziende confiscate risiedono in diversi fattori. Primo, non hanno quasi mai fatto ricorso al credito, potendo riciclare capitali. Una volta soggette a una gestione non ‘drogata’, hanno necessità di indebitarsi ma non hanno reputazione[vi] tale da trovare finanziatori[vii].

        Altro problema, il personale in nero che deve essere messo in regola, la qual cosa comporta maggiori spese correnti. Sono i cosiddetti ‘costi della legalità’. Ma è chiaro che queste aziende non possono stare sul mercato nel segno della continuità, cioè nel sistema illegale in cui erano immerse.

        Già nel 2020 si rilevava che il 67% delle aziende che arrivavano in gestione all’ANBSC erano scatole vuote, quindi destinate a liquidazione. Poi ci sono quelle che faticano a sopravvivere senza le scorciatoie illegali o i finanziamenti della mafia, senza contare l’aspetto prettamente reputazionale che quasi sempre comporta un deterioramento degli affari. E’ questo, peraltro, un dato che serve a confutare le semplicistiche conclusioni secondo cui quando un’azienda passa allo Stato non può che fallire.

        Per quanto riguarda gli altri beni, la situazione, rispetto al passato, è migliore. Persistono difficoltà burocratiche e amministrative che precedono l’effettiva assegnazione dei beni confiscati, quali: a)  presenza di beni occupati, fabbricati abusivi, sussistenza di diritti di terzi, possesso di quote indivise del bene confiscato; b) disinteresse degli amministratori verso l’immobile confiscato e non destinato; mancanza di personale sufficientemente qualificato per gestire questa tipologia di beni; c) il fatto che anche quando la confisca è compiuta può continuare la fase prevista dall’art. 60 CAM (pagamento dei creditori ammessi al passivo)

 

2.3.  Le strategie di superamento delle problematiche

Vero che la responsabilità dell’efficacia della procedura di riutilizzo a fini sociali è dei destinatari del bene. Ma da più o parti è stato osservato come tale responsabilità non possa essere lasciata solo ai soggetti assegnatari, poiché data la loro specifica natura, i beni confiscati necessitano di un supporto da parte dello Stato che non può esaurirsi al momento dell’assegnazione.

        Il successo del riutilizzo non dipende soltanto dalle correzioni work in progress della normativa di settore o dalla capacità degli attori della gestione ma, spesso, da investimenti pubblici adeguati. E’ per questo che Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha messo a disposizione 300 milioni di euro per la valorizzazione dei beni confiscati, all’interno della Missione 5, dedicata a interventi speciali per la coesione territoriale.

Allo scopo di far fronte al problema degli incrementi salariari da regolarizzazione del lavoro nero, il D.lgs 18 maggio 2018, n. 72, recante “Tutela del lavoro nell’ambito delle imprese sequestrate e confiscate” ha introdotto un trattamento di sostegno al reddito, pari al trattamento straordinario di integrazione salariale, a favore dei lavoratori sospesi dal lavoro o impiegati a orario ridotto, dipendenti da aziende sequestrate e confiscate, sottoposte ad amministrazione giudiziaria, per le quali è stato approvato il programma di prosecuzione o di ripresa dell’attività di cui all’articolo 41 del CAM, e fino alla loro assegnazione o destinazione.

Allo scopo di riunire gli attori locali che sono in grado di offrire contributi fattivi di carattere conoscitivo rispetto al territorio, è stato istituito il Comitato consultivo di indirizzo, organismo  introdotto in tempi recenti. E’ composto da soggetti appartenenti alla società civile, organizzazioni sindacali, soggetti del terzo settore e membri dell’Anci.  Il D.M. Min. Int. 22.1.2018 ha dato impulso, indicandone la composizione, ai Nuclei di supporto delle Prefetture (art. 100 Cam), i quali hanno il compito di monitorare l’andamento dei beni destinati.

Novità importante (sebbene facoltativa) della 161/2017 è quella dei Tavoli permanenti presso le Prefetture, che vengono attivati su decisione del locale Prefetto ai sensi dell’articolo 41 ter del CAM[viii].

Si tratta di organismi che, ognuno in varia misura, dovrebbero creare una sorta di paracadute sociale/economico e di dare suggerimenti rispetto alle proposte formulate dall’amministrazione giudiziaria e dall’Agenzia stessa.

Per quanto riguarda le aziende, la medicina più efficace resta quella della vendita dopo la bonifica. Lo Stato è cosciente della propria sconfitta nel momento in cui le aziende chiudono, perché la finalità del cd. ‘antistato’ è dimostrare che, fin quando deteneva l’azienda, essa stava sul mercato.   Tuttavia, la priorità dell’ANBSC in questo settore non può essere meramente conservativo-patrimoniale, ma deve essere orientata all’inserimento delle imprese all’interno del circuito della legalità.

 

[i]v. Rapporto CNEL, 2006.

[ii]Dopo la confisca di 2° grado l’Agenzia subentra all’Amm.G. nella gestione delle aziende confiscate. In questa fase viene trasmessa all’Agenzia copia della relazione predisposta dall’amm.g.ai sensi dell’art. 41 CAM, con un’analisi aggiornata sullo stato di salute dell’azienda, contenente precise informazioni circa: l’effettiva operatività;  i ricavi ed i costi caratteristici; l’organizzazione aziendale; la regolarità amministrativa; l’esistenza di eventuali contenziosi, civili, fiscali, amministrativi etc.;  i flussi finanziari tipici;  i rapporti con gli Istituti finanziari; le eventuali criticità. Bisognerà fornire, in ultimo, un giudizio prognostico sulla capacità o meno dell’azienda di proseguire utilmente la propria attività e di rimanere sul mercato.

[iii]strumento basico attraverso il quale l’Agenzia rivolge l’invito, con richiesta scritta ai soggetti destinatari dei beni confiscati, per conoscere la disponibilità a prendere in carico un determinato cespite.  Attraverso questa richiesta si descrive il bene nelle sue caratteristiche (riferimenti catastali, collocazione geografica, caratteristiche della procedura).

[iv]a) area sociale (famiglia, prevenzione eliminazione delle condizioni di disabilità, educazione, lotta alla dispersione scolastica, prevenzione del bullismo, assistenza agli anziani, accoglienza di sostegno all’integrazione del degli immigrati) b) area della salute e della prevenzione; c) area cultura (interventi a tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, progetti della memoria) d)  sicurezza e legalità; e) prevenzione delle devianze e delle tossicodipendenze.

[v]   così Bruno Corda, Direttore ANBSC.

[vi]I fornitori, innanzitutto, reagiscono fermandosi; oltre a fermarsi,  sospendono l’attività. Ciò crea problemi, sia per la continuazione, sia per i contenziosi che possono nascere. Ecco perche il CAM prevede la possibilità nella fase di amministrazione che i pagamenti riguardanti le forniture preesistenti possono essere rateizzati.

[vii]In passato, fra le  criticità che hanno rallentato l’effettivo riutilizzo dei beni confiscati, vi è stata la mancanza o insufficienza di risorse finanziarie necessarie per garantire la ristrutturazione e la riconversione degli immobili.

[viii]compiti del tavolo permanente sono a) favorire la continuazione dell’attività produttiva e salvaguardare i livelli occupazionali;b) dare ausilio all’amm.g. sulla base delle direttive impartite dal G.D., e all’Agenzia nelle fasi di amministrazione, gestione e destinazione delle aziende;c) favorire la collaborazione degli operatori economici del territorio con le aziende  confiscate nel percorso di emersione alla legalità;d) promuovere lo scambio di informazioni con gli amm.g.  coinvolti nella gestione delle aziende , tenendo conto delle disposizioni impartite dal G.D. anche al fine di salvaguardare le esigenze del procedimento di confisca;e) esprimere un parere non vincolante sulle proposte formulate dall’amm.g. e dall’Agenzia.

*direttore responsabile Il Foro Vibonese

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